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Italia, un’auto con troppi aspiranti guidatori



Alla sinistra non basta mettersi insieme. Poi insieme bisogna anche governare. Ed è questo il problema. Se a tenere uniti partiti che la pensano in maniera diversa è solo la colla di non darla vinta agli avversari, guidare il Paese è difficile.

Si può discutere delle differenti sensibilità e delle difficoltà di rapporti nel centrodestra. La Lega vuole l’autonomia differenziata, mentre Forza Italia e Fratelli d’Italia sono molto più tiepidi. Tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini non c’è un grande feeling e probabilmente Antonio Tajani sull’Europa non ha le stesse idee dei partner di governo. Tuttavia, anche con visioni diverse su singole questioni, il centrodestra resta una coalizione compatta, che sui grandi temi, dalla giustizia all’economia, dal Fisco alla Salute, la pensa in maniera identica. La stessa cosa non si può dire a sinistra, dove sensibilità e personalismi sono molto più accentuati e dunque anche le rivalità, personali e politiche. Dopo la batosta alle elezioni europee, Giuseppe Conte si è un po’ quietato, fingendo di voler cercare un’intesa con il Pd di Elly Schlein, di cui per mesi si è comportato da rivale. Perfino Carlo Calenda, dopo i risultati omeopatici conseguiti all’inizio di giugno, ha moderato i toni e sembra disponibile a un’alleanza con gli ex compagni di viaggio del Partito democratico.

Ma guardando la storia dei molti leader che si affacciano nel centrosinistra promettendo di dar vita a una coalizione, si può dire che questi signori siano in grado di creare un fronte unito? Capisco che le sconfitte conseguite negli ultimi anni e la modesta vittoria delle amministrative abbia risollevato il morale di Elly e dei suoi alleati. E comprendo pure che la suggestione francese, con il suo Front Populaire per battere il Rassemblement national, abbia fatto scoccare la scintilla di una sinistra unita per sbaragliare le destre, come dice la segretaria del Pd. Poi, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo il carattere dei singoli e soprattutto il programma dei partiti. E lì cominciano le difficoltà. È vero, tra il 2019 e il 2021 la sinistra ha governato il Paese, ma a tenerla insieme è stato il rischio di andare alle elezioni ed essere spazzata via. Il governo Conte due, quello nato grazie alla piroetta di Matteo Renzi, il quale dopo aver detto «mai con i 5 Stelle» si alleò con i seguaci di Beppe Grillo, aveva come unico obiettivo di evitare le elezioni e dunque l’uscita di scena di molti parlamentari grillini. Alle europee del 2019, cioè dopo un solo anno di governo, i pentastellati dimezzarono i voti e affrontare le urne, sciogliendo la legislatura, per molti di loro sarebbe equivalso a tornarsene a casa, come poi è successo nel 2022 con la vittoria del centrodestra.

No, a vedere la sinistra sul palco di Bologna, riunita dal presidente dell’Anpi, non si ha la sensazione di un raggruppamento compatto. Immaginare che Giuseppe Conte, Elly Schlein, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi, Maurizio Acerbo, e magari pure Matteo Renzi e Carlo Calenda possano unirsi per dar vita a un Fronte popolare, fa solo venire i brividi per la spericolata operazione. Infatti che cosa ha da spartire Acerbo, leader di ciò che resta di Rifondazione comunista, con Giuseppe Conte? E Calenda, che cosa potrebbe condividere con i compagni di viaggio? È evidente che quello che si prova a mettere insieme a sinistra per le prossime sfide è solo un cartello elettorale, ma nulla di più. Non ci sono un programma o una comune visione a tenere uniti i diversi partiti. Conte, Schlein, Fratoianni, Bonelli, Magi, Acerbo e così via sono legati dal solo pensiero di contrapporsi a Giorgia Meloni.

Ma l’antimelonismo non è un programma di governo, al massimo lo è per una campagna elettorale. Nel passato abbiamo già sperimentato dove ci ha portato l’antiberlusconismo. Trent’anni di opposizione da sinistra al Cavaliere non hanno prodotto un solo esecutivo stabile. Prova ne sia che tra il 1996 e il 2001, l’Italia ha visto quattro presidenti del Consiglio e altrettante maggioranze. Fuori Romano Prodi, mandato a casa da Fausto Bertinotti, dentro Massimo D’Alema, ma con l’apporto di Clemente Mastella e di Francesco Cossiga. Caduto a sua volta il líder Maximo, fatto fuori soprattutto dalla sua arroganza, ecco spuntare Giuliano Amato. Cinque anni di legislatura, quattro programmi di governo, un solo grande pasticcio: la modifica costituzionale per dar vita all’autonomia differenziata, quella a cui la stessa sinistra che la volle oggi si oppone.

No, non basta mettersi insieme. Poi insieme bisogna anche governare. Ed è questo il problema. Se a tenere uniti partiti che la pensano in maniera diversa è solo la colla di non darla vinta agli avversari, guidare il Paese è difficile. Un’auto con troppi passeggeri che vogliono tenere il volante alla fine sbanda e va contro il muro.

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