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Le verità negate su Ustica



Da 44 anni emergono sempre nuove ipotesi sul disastro del Dc9 Itavia che il 27 giugno 1980 costò la vita a 81 passeggeri. Ma si tratta di teorie fantasiose, spesso completamente prive di appigli alla realtà. Panorama fa il punto su quanto si è fin qui appurato, con le carte della Cassazione penale che nel 2007 ha rifiutato la versione del missile e della battaglia aerea. Anche se la Cassazione civile... PRIMA PUNTATA

Grande è la confusione sotto il cielo, soprattutto in quello martoriato e triste di Ustica. Come accade a ogni anniversario della strage, in giugno nascono nuove ipotesi. E antiche piste, pur se smentite dalla storia e magari abbandonate da decenni, riemergono intatte, come nulla fosse. Così una trasmissione come Report, forse perché il governo di Gerusalemme oggi è tra i meno popolari al mondo, torna ad accreditare un’antica e surreale pista israeliana: ad abbattere il Dc9 Itavia il 27 giugno 1980, per un tragico errore, sarebbe stato un aereo da guerra con la stella di Davide che pensava di mirare a un cargo che portava uranio arricchito all’Iraq.

Intervistato da Report, anche l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato oggi sostiene lo scenario israeliano, che è «più forte di altri» e quindi «merita di essere indagato». Dimenticando quanto aveva dichiarato nel settembre 2023 quando, scuotendo non poco l’opinione pubblica, aveva affermato che la strage era stata provocata da un missile lanciato da un caccia francese, impegnato in una missione segreta con cui la Nato intendeva uccidere il leader libico Mu’ammar Gheddafi. Oltre un anno fa, Amato aveva perfino invitato Emmanuel Macron a «lavare l’onta che da allora pesa su Parigi». Ascoltato in seguito dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, l’ex presidente aveva dovuto fare retromarcia: le sue erano state solo «supposizioni», un appello «perché chi sa come sono andate le cose finalmente parli», e niente di più. Ora Amato torna alla carica con Israele. Chissà nel giugno 2025 che cosa potrà saltare fuori...

Del resto, anche nel 2024 non sono mancate le «rivelazioni» su Ustica: da un assurdo tentativo di collegamento con uno dei killer della banda della Uno bianca, incredibilmente visto al comando di un Mirage francese nel Mediterraneo meridionale, fino al nebuloso racconto di un anziano maresciallo dell’aeronautica che oggi giura di aver visto da vicino il misterioso Mig libico caduto sulla Sila, ma anni fa aveva dichiarato il contrario agli inquirenti. Appena tornato in tv, anche Massimo Giletti infine s’è dedicato a Ustica e ha «rivelato» l’esistenza di un misterioso casco da pilota statunitense, ripescato da un pescatore di Amantea: una storia peraltro già nota dal 2005 e archiviata come ininfluente.

Sulla tragedia di Ustica, purtroppo, non sembra cambiare mai nulla. Intorno al jet caduto nel Tirreno siciliano nella serata del 27 giugno 1980 con 77 passeggeri e quattro membri d’equipaggio, da 44 anni balla un folle sabba d’ipotesi. È una danza davvero infernale, musicata su un pentagramma di tesi fantastiche, spesso prive del minimo appiglio alla realtà. In oltre quattro decenni il teatro delle congetture ha assunto dimensioni tali che, se per l’appunto non fossero morti 81 innocenti, sarebbe ormai da annoverare tra le peggiori farse nazionali. Il problema è che, travolti da ipotesi infondate se non strampalate - ma sempre presentate come verità inoppugnabili - troppi italiani nel loro intimo restano convinti che il disastro di Ustica sia stato il risultato di una folle «battaglia aerea» e del lancio di un missile. Due ipotesi demolite 19 anni fa da una sentenza penale, e successivamente confermata in via definitiva dalla Cassazione.

Il processo per i reati di attentato contro gli organi costituzionali e di alto tradimento, aperto il 31 agosto 1999 contro alcuni generali dell’aeronautica in base a un rinvio a giudizio firmato dal giudice istruttore Rosario Priore, s’è concluso con un’assoluzione piena («perché il fatto non sussiste») per tutti gli imputati: il 15 dicembre 2005 hanno così deciso i giudici della Corte d’assise d’appello di Roma, e la prima sezione penale della Cassazione l’ha confermato definitivamente il 10 gennaio 2007. La conclusione del giudizio di secondo grado è arrivata dopo due processi e migliaia di udienze, con l’ascolto di centinaia di testi e il deposito di varie accurate perizie tecniche, scritte da alcuni tra i migliori esperti internazionali di aeronautica, radaristica, balistica. I giudici penali della Corte d’appello di Roma sono chiarissimi sull’ipotesi della battaglia aerea: «Nessun velivolo ha attraversato la rotta dell’aereo Itavia», scrivono alle pagine 115-116 della sentenza, «non essendone stata rilevata traccia dai radar militari e civili, le cui registrazioni sono state riportate su nastri da tutti i tecnici unanimemente ritenuti perfettamente integri».

I giudici sottolineano anche «i vari accertamenti da cui risulta che tutti gli aerei militari italiani erano a terra, che i missili di dotazione italiana erano tutti nei loro depositi, che gli aerei militari alleati non si trovano nella zona del disastro, e che nell’ora e nel luogo del disastro non vi erano velivoli di alcun genere». Quanto al missile, i giudici scrivono che «in base alle analisi sui resti dell’aereo recuperati (circa il 95 per cento del velivolo, ndr) nessuna parte della carcassa reca segni dell’impatto di un missile». Certo, si può sempre pensare che anche i migliori magistrati possono essere fuorviati e ingannati. Ma i giudici della Corte d’appello di Roma non soltanto hanno indagato a fondo e ascoltato decine di periti: hanno ascoltato perfino i testimoni oculari di quella notte maledetta. E cioè l’equipaggio e i passeggeri di un aereo di linea dell’Air Malta che nella tarda serata del 27 giugno 1980 «seguiva a breve distanza il velivolo Itavia, ma è atterrato tranquillamente a Malta e non ha segnalato alcunché d’irregolare lungo la sua rotta: se vi fossero stati altri velivoli, certamente li avrebbe visti e comunicati».

Con inusuale durezza, i giudici concludono che «tutto il resto», cioè l’ipotesi del missile e della battaglia aerea, «è fantapolitica o romanzo (…) e il frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda, un intervento della Libia, la presenza sul posto del suo leader Gheddafi, e così via, fino a cercare di escogitare un falso collegamento con la caduta di un Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva». Fantapolitica. Romanzo. Falso collegamento. Non è frequente che una sentenza impieghi parole tanto dure. Eppure, per quattro decenni, anche quel Mig precipitato sulla Sila è stato presentato come prova inconfutabile della presunta battaglia aerea combattuta la sera del 27 giugno 1980 attorno al jet Itavia. Ancora oggi c’è chi è convinto che il jet libico non sia caduto sui monti della Calabria tre settimane dopo, alle 11 di mattina del 18 luglio, così come nel 2005 e poi nel 2007 ha stabilito - con certezza e in via definitiva - il processo penale.

Potenza delle psicosi cospirazioniste e dell’avversione alla Nato e all’Occidente, due filoni molti forti in Italia, ma forse anche della suggestione cinematografica. I film su Ustica sono tanti, e inevitabilmente molto più efficaci di qualsiasi atto giudiziario. Il più famoso è Il muro di gomma, del 1991, e si basa sulla sceneggiatura scritta dal regista Marco Risi e da Andrea Purgatori, il giornalista che fu il primo a convincersi del missile. Vale a poco ricordare oggi che in un processo suscitato nel 2000 da quella pellicola, Purgatori e Risi si difesero dichiarando che «il film non propone la ricostruzione storico-documentaristica della realtà», ma una sua «rappresentazione artistica».

Certo, è comprensibile che Priore nell’agosto 1999, prima del processo che aveva avviato con il suo rinvio a giudizio, nutrisse ancora dubbi su quel Mig: a instillarli, del resto, aveva provveduto una lunga serie di sedicenti testimoni, demoliti negli anni successivi. Va detto che il giudice istruttore nel 1999 propendeva anche per la tesi del missile e della battaglia aerea. E proprio qui nasce un altro problema, un’altra fonte di ambiguità sul caso Ustica: perché nel dibattito, ancora oggi, c’è chi parla dell’ordinanza-sentenza di Priore come se fosse una verità accertata e definitiva. Invece è soltanto il rinvio a giudizio (per di più deciso in base alla vecchia procedura penale, e quindi senza nemmeno il dibattito di un’udienza preliminare) di quattro generali dell’aeronautica militare e di altri indagati per attentato contro gli organi costituzionali e alto tradimento. L’atto firmato da Priore, in realtà, è anche una «sentenza istruttoria di proscioglimento», parallela all’ordinanza e come quella non definitiva, nella quale il giudice stabilisce di «non doversi procedere» sulla strage perché i suoi autori - purtroppo - restano ignoti.

Tutto ciò che Priore nel 1999 scrive nelle 4.969 pagine dell’ordinanza-sentenza, insomma, non ha alcuna certezza giuridica. Non è «la» verità. È soltanto la «sua» verità: un’ipotesi più che rispettabile, dopo quasi vent’anni d’indagini, ma in quanto tale affidata alla valutazione di altri magistrati in tre diversi gradi di giudizio. E quei giudici hanno preso decisioni che alla fine sono state del tutto diverse dalle ipotesi di Priore: non ci furono né un missile, né una battaglia aerea. Come poi spesso accade alla giustizia italiana - e anche qui si potrebbe parlare di una grande farsa - la sentenza della Cassazione penale del gennaio 2007 è stata contraddetta dalla Cassazione civile: il 13 novembre 2012, i giudici della sua terza sezione hanno stabilito sia «abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile». Il problema è che lo hanno deciso senza nessuna delle perizie condotte in sede penale, e senza le stesse approfondite indagini. In sede civile, i giudici di primo grado si erano limitati a decidere che «le ipotesi del missile o della quasi-collisione risultano più probabili della bomba». E alla fine del giudizio, in Cassazione i supremi giudici civili scrivono infatti di una «tesi motivata», e non di una «prova raggiunta». Resta il fatto che da oltre dieci anni la loro decisione, oltre a risarcire i familiari delle povere vittime, s’è trasformata in un’altra bandiera dei sostenitori dell’ipotesi della battaglia aerea.

Per tutto questo la tragedia di Ustica resterà probabilmente senza certezze. Perché ogni apparente verità trova un contraltare, il suo esatto contrario. È stato così anche per le parole di Francesco Cossiga: nel febbraio 2008 l’ex capo dello Stato aveva dichiarato che ad abbattere il jet Itavia era stato «un missile a risonanza e non a impatto, lanciato da un aereo della marina militare francese», coinvolto nel fallito tentativo di abbattere l’aereo di Gheddafi. Dopo quelle dichiarazioni, 16 anni fa la procura di Roma aveva deciso di riaprire le indagini. Non stupisce quindi che da allora le parole di Cossiga siano divenute l’ennesimo appiglio per chi vuole credere all’ipotesi del missile.

Eppure il 3 giugno 2008 Cossiga aveva smentito tutto: «Io non ho mai affermato di sapere che fu l’aereo di una potenza amica e alleata ad abbattere per errore l’aereo Itavia nei cieli di Ustica», aveva dichiarato, «a dirmelo fu l’allora capo del Sismi, l’ammiraglio Fulvio Martini». Diciamo che questa è una nuvola in più nel cielo, confuso e triste, di Ustica. Con un piccolo problema logico: perché Martini, morto nel 2003, era sempre stato tra i sostenitori della tesi opposta al missile, quella della bomba piazzata in una toilette del jet Itavia.

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