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Caracciolo a Trieste: «Il nostro è un tempo non più pacifico. All’Europa ora spetta rendersene conto»

Caracciolo a Trieste: «Il nostro è un tempo non più pacifico. All’Europa ora spetta rendersene conto»

Il direttore di Limes Lucio Caracciolo ospite di “Tal Energy Lectures”. L’iniziativa organizzata per i 60 anni dell’oloeodotto della Siot

Alla luce dei risvolti della guerra in Ucraina, «tra Trieste e la Russia rischiamo di avere soltanto paesi balcanizzati, instabili, mentre per un Paese con la proiezione adriatica e balcanica dell’Italia avere un’idea di come pacificare quei territori dovrebbe essere l’abc».

È difficile che il realismo metta allegria, e non è certo solare l’immagine del mondo che il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha dipinto mercoledì, nella sala Luttazzi del Magazzino 26, discutendo con il vicedirettore del gruppo Nem con delega a Il Piccolo Fabrizio Brancoli delle crisi del nostro tempo, le elezioni in Francia, il disfacimento sociale degli Usa, il futuro della Germania.

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L’occasione era il 60esimo anniversario della Siot, per il quale sono state avviate in Porto vecchio le “Tal Energy Lectures”.

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Dopo l’introduzione di Federico Prandi e il saluto del sindaco Roberto Dipiazza, il presidente di Siot Alessio Lilli ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Abbiamo deciso di fare leva sui 60 anni dell’azienda per regalare qualcosa, e quel che abbiamo deciso di regalare è la conoscenza». La conoscenza più legata alla storia di Siot, oleodotto pensato dopo la Seconda guerra mondiale per mettere assieme i cocci delle economia europee, «era quella geopolitica».

Quale miglior ospite d’esordio, quindi, del direttore della principale rivista di studi geopolitici d’Italia. Caracciolo stesso ha riconosciuto la rinascita degli interessi geopolitici: «La gente si interessa di geopolitica non da moltissimo perché è entrata nelle nostre vite. Dalla fine della Guerra fredda siamo entrati in una fase non pacifica della nostra storia, che ci costringe a pensare cose che avremmo evitato di pensare, ma che dobbiamo pensare per non esserne sopraffatti».

Un esempio è proprio l’energia: «Forse l’evento più importante finora nella guerra russo-ucraina è stato il sabotaggio del gasdotto North Stream, che per americani, polacchi ed europei del Nord era una sorta di riedizione del patto Molotov-Ribbentrop». È un tema che ci accompagnerà anche in futuro: «La famosa energia verde ho mostrato i suoi limiti. Leggo che l’Arabia Saudita ha deciso di investire sull’estrazione petrolifera perché l’auto elettrica non decollerà».

Passando alle elezioni francesi, Caracciolo prevede «mesi di incertezza su chi dovrà governare la Francia»: «Normalmente lo fa il Presidente della Repubblica, ma questo ha perso parecchio della sua autorità, e la società in sofferenza si muove anche attraverso la violenza». Della scelta di sciogliere il parlamento da parte di Macron, Caracciolo osserva: «È una macronata, si lancia spesso in grandi dichiarazioni. Certamente il suo prestigio oggi è molto decaduto, e questo nel sistema repubblicano ha un peso. Il Presidente ha quasi il potere del Re Sole, e vedere il Re Sole in queste condizioni non è piacevole».

Quanto alla Germania, cui è dedicato il nuovo numero monografico di Limes, Caracciolo osserva: «L’attuale sistema europeo, che ha al suo centro la Germania come grande potenza esportatrice, è un sistema assurdo perché normalmente il Paese centrale non sta ad assorbire liquidità e a distribuire deflazione ma fa il contrario. Noi giustamente siamo stati accusati di avere un debito troppo alto, ma vogliamo dare un occhio al surplus commerciale tedesco? Oggi la guida della Germania non saprei dove sia, certamente non alla cancelleria di Berlino».

Tutto quello che vediamo accadere oggi, secondo Caracciolo, ha però una radice unica: «La crisi americana. Se non ci fosse, molte guerre che capitano non accadrebbero, molti signori che fanno i Napoleoni dell’ultima ora avrebbero pensieri diversi. Quando si crea un vuoto, tutti ci si tuffa». Perché avviene? «L’America è profondamente spaccata in due nazioni diverse, che non si riconoscono reciprocamente. Anche alle prossime elezioni, comunque vada a finire chi perde non riconoscerà il vincitore».

Le difficoltà Usa si riflettono in quelle europee: «Facciamo bene a sostenere l’Ucraina ma dobbiamo capire quale sia il nostro obiettivo. Prima o poi si arriverà alla pace. Vogliamo stabilire cosa l’Ucraina dovrà cedere alla Russia? Quali sono le garanzie che vogliamo dare all’Ucraina e come rimetterla in piedi? Perché dovremo farlo, altrimenti tra Trieste e la Russia rischiamo di avere soltanto paesi balcanizzati, instabili. Penso alla Bosnia, il Kosovo o oggi la Moldova».

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