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Bucchi e il rimpianto triestino: «Sarei rimasto altri 10 anni»

Un anno solo a Trieste, quello che di fatto aveva chiuso l’era Biasin durata 6 anni.

La sua Triestina era uscita tra gli applausi del Barbera a Palermo, 12 maggio 2022, primo turno della fase nazionale play-off contro la squadra poi promossa in B. Pochi giorni dopo, la morte di Mario Biasin, e la vendita a Giacomini.

Per Cristian Bucchi non ci fu grande occasione di vivere appieno la città, era l’anno delle porte chiuse o degli ingressi contingentati, salvo le gare di play-off contro Pro Patria e i siciliani. Bucchi in seguito ha guidato l’Ascoli in B e l’ultima stagione l’ha vissuta da spettatore.

Lo lega al nuovo tecnico alabardato Santoni la linea di pensiero fedele al credo di De Zerbi.

Bucchi, come ha trascorso un anno senza panchina?

«Ho la fortuna di avere tanti amici allenatori. Ho girato moltissimo, a partire dal mio amico De Zerbi a Birghton, ma anche da Spalletti, Giampaolo o Di Francesco. A me piace comprendere la genesi, come si arriva ad una determinata idea di calcio. Se capisci questo poi arrivi al perché un allenatore è più conservativo, uno più propositivo e così via».

Ciò ha compensato la “fame” di campo?

«Il momento migliore per questa analisi introspettiva, benché necessaria, coincide con il momento in cui si è senza squadra. Sono stato da De Zerbi l’anno scorso con il doppio obiettivo di migliorare la lingua inglese e per capire come si fosse integrato con la sua idea di calcio e metodologia di lavoro in un mondo che non conosceva. Quando alleni sei preso da tantissime cose, gestione squadra e risultati, rapporti con proprietà, staff, stampa».

La Triestina lo scorso maggio è uscita a Benevento un po’ come voi a Palermo.

«Il modo di uscire è stato simile, sono partite che lasciano l’amaro in bocca, penso spesso alla mia Triestina e alle due partite col Palermo poi promosso, ci hanno dominato solo i primi 30’, per il resto dominammo noi».

È rimasto un legame con l’Unione?

«La seguo sempre, la Triestina per me era stata una scelta tecnica e di vita, ci sarei rimasto 10 anni a Trieste, volevo sposare quello stadio, quella società e quei tifosi che purtroppo mi sono goduto poco a causa delle restrizioni Covid. Ce li siamo goduti solo nei play-off. Ho temuto tanto la stagionedopo, poi quel gol ha tenuto la squadra in C».

E l’ultimo anno?

«Si è partiti con un allenatore che la categoria la conosce benissimo, uno dei migliori, non so da fuori cosa non sia andato bene ma mi ha stupito l’esonero di Tesser. Da fuori sono convinto che uno dei problemi della stagione sia stata la lontananza dallo stadio».

Squadre B in C, favorevole?

«50-50. Dover rinviare partite per i nazionali crea disagi ma se vogliamo migliorare i settori giovanili dobbiamo trovare il modo di far crescere i ragazzi con esperienze vere, vivendo la classifica. Ma vorrei le U23 piene di italiani».

A quanto sono quotate le sue motivazioni per una panchina?

«Ho il fuoco dentro. I momenti fuori sono formativi per comprendere come cambia il calcio ma l’assenza dal campo si sente. Ho 47 anni, mi sento un tecnico giovane che ha però tanta esperienza con 4 tornei di B e 4 di C. Spero di tornare in pista presto, magari a stagione in corso a questo punto».

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