Il pianeta malato e le alternative: i viaggi di Roversi al “TreeArt” di Buttrio
BUTTRIO. Un festival inusuale dal fascino scientifico. “TreeArt”, ideato e diretto da Patrizia Minen, raggiunge la quinta edizione e sarà la scenografica villa di Toppo Florio a Buttrio il fondale di una quattro giorni (da giovedì 11 a domenica 14 luglio) generosa di commistioni d’arte e di sostenibilità con un protagonista dalla salute cagionevole: il suolo.
I programmati lavori tematici ambientali e climatici avranno in Patrizio Roversi, ben noto turista televisivo, nonché velista, lupo solitario e molto altro ancora — il mantovano è un uomo assai poliedrico — il promotore degli studi condotti dagli esperti, riservandosi per sabato, alle 21, un corner show tutto suo con “Oltre il petrolio”, lo spettacolo su clima e ambiente con la regia di Mietta Corli.
Centrato su filmati di alcuni viaggi effettuati dal giornalista e divulgatore, la performance si soffermerà sul tema dello sfruttamento del suolo come l’orientamento 2024 comanda.
«Il soggetto proposto quest’anno — spiega Roversi — mi sta particolarmente a cuore e i motivi sono molteplici. Il convegno è dedicato alla fertilità della superficie, una ricchezza non rinnovabile, alla quale è legata la sopravvivenza dell’umanità. La nostra agricoltura industriale tende a sfruttarla il più possibile fino a ridurla, talvolta, a un substrato inerme intaccata dalla chimica per renderla feconda. Non è un sistema saggio, in verità. Il risultato è un deperimento irreversibile».
La saggezza non è contemplata dall’uomo quando si rapporta con la natura.
«Già. Una precisazione: vista da fuori quest’occasione d’incontro friulano sembrerebbe riservata agli addetti ai lavori. Non è così. In base a come tu coltivi il suolo e ne preservi la fertilità, la permeabilità eccetera, eccetera avrai delle specifiche conseguenze. Parliamo dell’acqua, per esempio. Lo sfruttamento dell’urbanizzazione fa spesso rima con inondazione. La cementificazione lo rende impermeabile e le conseguenze sono tristemente note. Il terreno è vivo. Terreno morto non immagazzina alcunché».
Ciò che ci incuriosisce è quando lei ha cominciato seriamente a interessarsi di questioni ambientali.
«Dunque. Mio nonno, il mio babbo e mio zio hanno lavorato nei consorzi di bonifica di campagna gestendo l’acqua, ovvero l’irrigazione e il rapporto con i contadini per cui io, sin da piccolo, andavo in giro con loro a fare i rilievi e va da sé che sono cresciuto amando la natura pur abitando in città. E queste sono state le meraviglie che ho cominciato a vedere da bimbo. Poi andando in giro per il mondo a fare il turista per caso ho capito che le chiavi di sviluppo di un Paese sono il mercato, l’agricoltura, la gastronomia e, naturalmente, tutto ciò riverbera sul clima, sulla civiltà, sulla storia e sui ruoli sociali. Il settore primario è la terra, non ho mai avuto dubbi in proposito».
Patrizio, ci avvicini alla sua performance di sabato “Oltre il petrolio”.
«Saranno proiettati alcuni filmati dei miei viaggi attraverso i quali mi soffermerò sui modelli di sviluppo molto diversi fra loro — antichi e iper-industriali — parlerò di ambiente spesso squassato dai cambiamenti climatici e raggiungeremo anche una sorta d’integrazione musicale a cura di Maurizio Camardi e di David Soto Chero».
La situazione globale pare davvero irreversibile, qualcuno ipotizza la fine della specie. Lei come la vede?
«Non sono un esperto, lo confesso, meglio direi un tipo curioso e testimone di alcuni fatti, ecco. Essendo un boomer sono molto legato a un concetto: tutto si spiega attraverso il modello economico. Il mondo è governato da forze incontrollabili come i fondi d’investimento e le multinazionali che hanno una gittata ben superiore dei singoli stati e non sarà facile rimettere le cose a posto, anche perché i grandi investitori non sembrano intenzionati a capitalizzare con l’ecologia. Anzi, sono decisamente incentivati a lasciar perdere il “verde”. E, quindi, stiamo tornando indietro osservando, in modo disgustoso, una pericolosa regressione».