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Chiamate moleste: questa «opposizione» è un bluff

L’iscrizione al registro «Rpo» doveva essere un baluardo contro le telefonate degli operatori di telemarketing. Invece non solo funziona poco: in alcuni casi aumentano. Così si resta in balìa dei call center.

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Ma andiamo con ordine. Istituito il 14 aprile 2022 dal ministero dello Sviluppo economico (oggi del Made in Italy), il Registro è stato dato in affidamento alla Fondazione Ugo Bordoni, ente privato ma di diritto pubblico. Il meccanismo è piuttosto semplice: chi non vuole essere disturbato da decine di telefonate di telemarketing può chiedere l’iscrizione di un numero di cellulare (o di rete fissa) all’Rpo, richiesta che viene gestita direttamente dalla Fondazione. L’elenco viene confrontato di volta in volta, e in modo obbligatorio, con le liste di telefoni che ha un operatore (un’azienda, o un call center) prima dell’avvio di una campagna di promozione. Tutte le aziende sono obbligate a passare dalla Fondazione prima di avviare la campagna stessa, e farlo ha un costo: un millesimo di euro per numero controllato. Soldi che entrano direttamente nelle casse della Fondazione.

Un’azienda è incentivata a passare dal Registro perché solo così evita di contattare numeri «proibiti» e di conseguenza multe da parte del Garante. Unicamente dopo aver caricato i dati e aver ricevuto una risposta, può procedere a contattare i numeri liberi. Lo Stato, ovviamente, finanzia l’attività della Fondazione Bordoni con un «Piano preventivo dei costi di gestione» del Registro che per il 2023 ha previsto una spesa di 1,5 milioni di euro circa. Torniamo a questo punto a oggi. Con una domanda che, vista la mole di costi a distanza di due anni, è d’obbligo: il Registro sta funzionando? Secondo molti esperti, no. O quantomeno non come dovrebbe. Innanzitutto perché le aziende non abbandonano la strategie del telemarketing, come spiegano Pio e Lorenzo Fiorito, esperti di digital marketing e fondatori di Dataz, azienda all’avanguardia che tramite l’intelligenza artificiale trasforma i dati in informazioni utili per il marketing di startup e scaleup. «Le aziende che ricorrono a tecniche di telemarketing aggressivo spesso lo fanno perché vedono risultati immediati in termini di vendite» ragionano i due fratelli. «Questa strategia può portare a brevi aumenti delle entrate, anche se, a lungo termine, può danneggiarne la reputazione e alienargli i clienti target. Ma la pressione sulle vendite e gli obiettivi nell’immediato possono spingere a continuare queste pratiche, nonostante la diffusa e manifesta insoddisfazione dei consumatori».

Un’insoddisfazione che spesso porta all’iscrizione all’Rpo. «Il Registro» dice Giovanni Spiller, che di Dataz è Equity Partner & AFC «è stato spesso considerato un flop perché, purtroppo, tante imprese non rispettano le iscrizioni o trovano modi per aggirarle. Alcuni call center continuano a contattare i consumatori iscritti, spesso senza che le sanzioni previste abbiano efficacia deterrente». In altre parole, le multe servono a poco o nulla. Ma soprattutto lo scudo dell’Rpo non vale, se a chiamare è un call center che opera dall’estero. Insomma, fatta la legge trovato l’inganno: «In questi casi» spiega ancora Spiller «il registro è inefficace perché le chiamate provengono da giurisdizioni dove le norme italiane non sono applicabili». Tutto inutile, dunque. Almeno finché - e questa sarebbe la vera strada da perseguire - non si arriverà a una cooperazione internazionale «per affrontare i call center all’estero, attraverso dei regolamenti il più possibile armonizzati con disciplina comune e sanzioni unificate».

D’altronde è sufficiente scorrere i «post» dei gruppi Facebook o Telegram, chat Whatsapp o forum online per comprendere che più di qualcosa non torna e che il malcontento colonizza anche la pagina social del Registro stesso. I commenti sono piuttosto eloquenti. «Non funziona!!! Ho fatto 1.000 volte l’iscrizione e gli aggiornamenti richiesti: il risultato è sempre lo stesso!!! Sono sobbarcato da telefonate!!!», scrive qualcuno. «Ho rinnovato 7-8 giorni fa l’iscrizione a Rpo e le chiamate dei call center sono passate da 2-3 al giorno a 8-10 al giorno!! Il filtro del telefono non riesce a bloccarli tutti», commenta un altro. E così via. Sarà forse per questa ragione che la pagina ufficiale del Registro ha smesso di pubblicare contenuti da un po’ di mesi, chissà.

Ciò che resta, però, è la frustrazione. E, soprattutto, la sensazione - comune non a pochi - che dopo l’iscrizione al Registro le telefonate siano addirittura aumentate. Come sarebbe possibile? Una risposta la dà un ex parlamentare che al tempo si è occupato del Registro e che, parlando con Panorama, preferisce restare anonimo. «È capitato a me per primo di essere contattato dopo l’iscrizione all’Rpo. Hanno chiamato al mio cellulare e mi hanno apostrofato per nome. Sono rimasto senza parole: come facevano a conoscere le mie generalità? Da qualche parte questi dati avranno dovuto prenderli! Non vorrei che in qualche modo e ovviamente senza responsabilità della Fondazione Bordoni, i dati del Registro, che immagino siano conservati in un cloud, siano fuoriusciti».

Tecnicamente si chiama «breach» termine inglese con cui si intende una violazione dei dati personali. Sul tema non ci sono elementi a dimostrazione. e lo stesso responsabile dell’Rpo, Maurizio Pellegrino, ci ha confermato via email che non se ne sono mai riscontrati. Non solo. «Avendo seguito un principio di minimizzazione dei dati personali nella fase di progettazione del servizio, per quanto riguarda i cittadini nei nostri database sono presenti solamente numeri telefonici, in alcuni casi associati a un indirizzo email e/o a un codice fiscale (per i soli utenti che si sono autenticati con Cie o Spid), e non chiediamo in fase di registrazione di indicare il nome e cognome dell’intestatario dell’utenza, avendo in campo altri strumenti per identificare l’utilizzatore del numero».

Resta comunque il dubbio sull’utilità di un Registro che, visti i commenti dei cittadini e il parere degli esperti, presenta evidenti problemi. Specie alla luce dei costi di gestione, che valgono nel bilancio del Paese 1,5 milioni all’anno.

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