La storia della moda a Palazzo Pitti
A quattro anni dalla chiusura, riapre a Firenze il Museo della Moda di Palazzo Pitti. Un atteso ritorno che vede un restauro completo dello spazio — inaugurato con il nome di Galleria del Costume l’8 ottobre 1983 da Kirsten Aschengreen Piacenti, figura cardine per la formazione dell’attuale complesso museale — con otto nuove sale e l’esposizione, nel nucleo centrale, di una collezione permanente, a cura di Vanessa Gavioli.
«Il costume e la sua storia sono intrinsecamente connessi con l’arte e abbiamo abbiamo voluto sottolineare questo legame attraverso l’abbinamento degli abiti con una selezione di prestigiosi dipinti», ha raccontato il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde, in occasione della riapertura. «Il riallestimento del museo della Moda è molto importante per le Gallerie: questo istituto, unico nel suo genere in Italia, contribuisce a connettere il complesso con la più viva contemporaneità, consentendoci di svolgere un ruolo improntato alla più sfaccettata multidisciplinarietà, in collegamento e attiguità, com’è tradizione per il mondo della moda, con teatro, danza, fotografia e arti performative».
Dopo l’apertura, avvenuta lo scorso dicembre, degli spazi dedicati alla moda del Novecento e dei primi anni del Ventunesimo secolo, oggi è possibile visitare il museo nella sua interezza, esplorando l’evoluzione del fashion a partire dal Settecento, accompagnati da alcuni dei più grandi ritrattisti di quegli anni. Da Carle Vanloo a Jean Sébastien Rouillard. Nelle sale appena inaugurate si possono così ammirare alcuni tipici esempi di robe à la française, ma anche capi in stile Impero come quelli in crepe di seta avorio, ornato da ricami in laminetta d’argento, appartenuto a Massimilla Celano, consorte di Prailo Mayo, terzogenito del governatore del Principato abruzzese di Francavilla.
E ancora, si prosegue con capi del periodo della Restaurazione, quando quando il punto vita si riabbassa ed elaborate applicazioni affiorano dalle vesti come bassorilievi scultorei. In mostra anche rari abiti da sposa ottocenteschi, come quello in seta dorata adornato da un motivo di peonie e margherite, appartenuto ad Angiola Polese, giovane nobildonna sposatasi nel 1836; oltre al raffinatissimo abito da sposa, realizzato da Charles Frederick Worth, in raso e gros de Tours color avorio, con voluminosa tournure e generoso strascico, luminoso esempio del virtuosismo sartoriale dell’epoca. Le mise da sera sono invece protagoniste della moda fin de siècle, e tra queste spicca il vestito in rete ad ago meccanico nera su raso di seta avorio di Catherine Donovan, celebre couturière newyorkese del tempo.
Firmato Raphael Goudstikker, è invece la veste Liberty in chiffon giallo e verde appartenuto alla contessa Margaret Brinton White Savorgnan di Brazzà, rappresentazione della sfarzosa moda della Belle Époque. Ai sofisticati abbigliamenti d’inizio Novecento è invece dedicata una sala ispirata al clima estetizzante dell’epoca, incarnata dalle forme a tubolare delle creazioni di Mariano Fortuny per Eleonora Duse e dalla veste da casa a kimono di Donna Franca Florio firmata Jacques Doucet, padre della moda francese. Infine, trovano spazio gli abiti da sera sgargianti di Elsa Schiaparelli, così come le sensuali creazioni di Gianni Versace e Jean Paul Gaultier, senza dimenticare l’allure da sogno delle collezioni di Gianfranco Ferré per Dior.
Se la moda è una delle più vive e dinamiche rappresentazioni del passare del tempo, il nucleo principale del museo — custode della collezione permanente — ne coglie appieno l’essenza. Circa sessanta capi dal XVIII al XXI secolo e altrettanti accessori tra scarpe, borse, ventagli, ombrelli, guanti, cappelli, invadono lo spazio, in un continuum storico unico nel suo genere.
Dell’ambizioso progetto, la curatrice Vanessa Gavioli ha raccontato: «Creare per la prima volta nella storia del museo l’esposizione permanente del nucleo fondamentale della collezione è stata una sfida entusiasmante. L’obiettivo, fin dal principio, era che dal racconto di questo itinerario emergessero i momenti salienti di una raccolta di oltre 15.000 numeri d’inventario. Ovviamente per ragioni conservative vi saranno rotazioni ma la griglia cronologica e concettuale rimarrà stabile».