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Migranti, a bordo della nave Life Support di Emergency: “Facciamo quello che gli Stati europei non fanno”

Migranti, a bordo della nave Life Support di Emergency: “Facciamo quello che gli Stati europei non fanno”

La Life Support è ormeggiata al porto di Civitavecchia. Ha appena salvato 178 persone nel Mediterraneo centrale ma è già pronta per ripartire per la sua ventiduesima missione. Da quando ha iniziato la sua attività nel dicembre 2022, la nave umanitaria di Emergency ha recuperato 1856 persone. “Noi facciamo quello che gli Stati non fanno […]

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La Life Support è ormeggiata al porto di Civitavecchia. Ha appena salvato 178 persone nel Mediterraneo centrale ma è già pronta per ripartire per la sua ventiduesima missione. Da quando ha iniziato la sua attività nel dicembre 2022, la nave umanitaria di Emergency ha recuperato 1856 persone. “Noi facciamo quello che gli Stati non fanno – racconta a ilfattoquotidiano.it l’advocacy manager della ong Francesca Bocchini – Non è possibile voltarsi indietro e far finta di non vedere gli oltre 800 morti che ci sono stati nel Mediterraneo nei primi sei mesi del 2024”. Una media di cinque al giorno. E se si allarga lo sguardo agli ultimi dieci anni il numero dei decessi supera i 29mila.

“Il vuoto lasciato dalla chiusura di Mare Nostrum non è mai stato colmato” prosegue Bocchini. E la tendenza consolidata degli Stati europei è quella di “esternalizzare” le frontiere. Prima con gli accordi con la Turchia, poi con la Libia e di recente con la Tunisia. Una strategia che si è già dimostrata “crudele e fallimentare” secondo Emergency. Eppure la presidente del Consiglio Meloni sembra voler tirare dritto verso quella strada. Lo ha ribadito da Tripoli mercoledì. “Siamo di fronte a un approccio securitario che vede tutte le persone come delle possibili minacce – commenta Bocchini – ma quello che noi proponiamo è un approccio sui diritti umani”. Una visione condivisa anche dall’Alto Commissario per i Diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk che nei giorni scorsi ha sottolineato come in Libia i migranti sono vittime di “gravi e diffuse violazioni dei diritti umani” perpetrate su “larga scala e impunemente” e ha invitato la comunità internazionale a rivedere e, se necessario, “sospendere”, la cooperazione in materia di migrazione e asilo con queste autorità.

Le testimonianze raccolte dall’equipaggio della Life Support nel corso delle ultime missioni lo confermano. “Le storie che sentiamo dalle persone che salviamo ci dicono che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove concludere le operazioni di ricerca e soccorso in mare” racconta Miriam Bouteraa, mediatrice a bordo della Life Support. Un esempio? “Un ragazzo siriano che ha tentato la traversata del Mediterraneo quattro volte, le prime tre è stato respinto e riportato indietro in Libia – aggiunge Bouteraa – lì ha vissuto in condizioni disumane e ha visto persone morire per le condizioni delle carceri dove era detenuto”. Eppure nel corso di uno degli ultimi soccorsi, una motovedetta della guardia gostiera libica si è avvicinata alla Life Support. “Nonostante non sia intervenuta durante le operazioni, è comunque preoccupante la sua presenza in acque internazionali, in una zona dove dovrebbe essere Malta a coordinare i soccorsi e non la Libia – ha commentato Anabel Montes Mier, capomissione della Life Support – negli ultimi giorni due ong hanno testimoniato l’interferenza, anche violenta, della guardia costiera libica. La Libia non è un posto sicuro per terminare le operazioni di soccorso altrimenti diventa un respingimento e questo comporta una violazione del diritto internazionale.”

Ma c’è un altro grande ostacolo che devono affrontare le navi come la Life Support. La politica dei “porti lontani” inaugurata con il Decreto Piantedosi a gennaio dell’anno scorso. Di che si tratta? Una prassi di assegnazione alle navi delle ong di porti molto distanti dalle aree in cui viene effettuata l’operazione di soccorso. E così la Life Support si è vista assegnare nell’ultimo anno e mezzo porti come Brindisi, Civitavecchia, Livorno, Marina di Carrara, Napoli, Ortona, Ravenna e Taranto. Cinquantasei giorni di navigazione in più che si sarebbero potuti evitare. “Ogni giorno speso per raggiungere un porto lontano è un giorno tolto all’attività di ricerca e soccorso” commenta con amarezza Bocchini. E per questi giorni di navigazione non necessari Emergency ha dovuto sostenere una spesa di 938.248 euro. Per questo la ong chiede che sia assicurata “l’assegnazione del porto di sbarco più vicino e disponibile per ridurre inutili e ulteriori sofferenze per i sopravvissuti e garantire il loro rapido accesso ai servizi di base, ma anche per evitare che le navi subiscano ritardi ingiustificati e oneri finanziari”.

In attesa di ripartire, la Life Support si prepara alla prossima missione di ricerca e salvataggio. “I diritti sono di tutti, altrimenti chiamateli privilegi” si legge sulle murate della nave. Una frase di Gino Strada e che rappresenta anche un appello all’Italia e all’Europa. “Serve ripartire da un approccio basato sui diritti umani” conclude Emergency che chiede di “interrompere ogni azione che supporta l’intercettazione e il respingimento di naufraghi verso la Libia e la Tunisia” e di istituire una zona Sar europea “per soccorrere e tutelare le vite delle persone in movimento e la creazione di canali legali e sicuri di ingresso in Europa”.

Foto di Davide Preti – Emergency

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