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Rivolta al Coroneo a Trieste, c’era un piano per la devastazione del carcere: gas, olio e idranti per bloccare gli agenti

Rivolta al Coroneo a Trieste, c’era un piano per la devastazione del carcere: gas, olio e idranti per bloccare gli agenti

Organizzato da un gruppo di tunisini e albanesi, poi il saccheggio di infermeria e ambulatorio.  Prima della mediazione del magistrato di sorveglianza 4 ore di caos. Al vaglio le accuse al direttore

TRIESTE. Oltre quattro ore di urla, incendi, danni, allagamenti, barricate e saccheggi. E con la scoperta, il giorno dopo, di un morto: un detenuto che potrebbe avere ingerito il metadone rubato dall’infermeria durante quelle quattro ore di caos. Non ha precedenti in queste dimensioni, bisogna tornare agli anni Settanta, la rivolta scoppiata in carcere giovedì 11. Le indagini su quanto successo sono in corso: ma ora, a distanza di una settimana, è possibile ricostruire passo dopo passo cosa è accaduto. E anche esattamente dove all’interno del Coroneo si sono registrati i disordini e chi li ha innescati. C’era una regia, perlomeno all’inizio.

Le tensioni e i primi danni

Sono circa le 18.40 – l’orario della “socialità”, in cui si aprono le celle – quando all’interno della casa circondariale si scatena la sommossa. La tensione è alta da giorni a causa del sovraffollamento (261 detenuti a fronte di una capienza di 150) acuito dal caldo e dall’infestazione di cimici “da letto”, quelle che si annidano nei materassi. Il tumulto esplode all’improvviso al secondo piano, nel primo tratto, per mano di un gruppo di tunisini e albanesi. Sono loro a coordinare le prime fasi della rivolta. In contemporanea, in pochi minuti, la protesta si propaga al terzo piano. Compresa l’infermeria. Il tumulto era stato preparato prima, vista la velocità con cui si è allargato.

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Roghi e devastazione

Decine i carcerati (si parla di 150 detenuti) che prendono parte alla sommossa: danno alle fiamme due o tre sedie degli uffici dei corpi di guardia e a varie lenzuola. Incendiano due bombolette di gas da fornello. Distruggono finestre, porte, interi uffici. Usano le scrivanie per chiudere tre ingressi del secondo piano. Sfasciano vetri, arredi. Alcuni lanciano oggetti all’esterno del carcere, in direzione della strada. C’è chi impugna gli idranti antincendio e allaga i corridoi spargendo anche olio, così da rendere scivoloso il pavimento e ostacolare un’eventuale irruzione della Polizia penitenziaria. I tubi degli idranti vengono usati anche per legare le sbarre e i cancelli per barricarsi. Le celle sono risparmiate dai danni. Il Coroneo, nel frattempo, è circondato da una massiccia presenza di agenti e militari in tenuta anti sommossa, pronti a intervenire: Polizia (volanti, Digos, Squadra mobile), Carabinieri, Guardia di finanza. Ci sono l’Esercito, i Vigili del fuoco, la Polizia locale e dodici ambulanze del 118. Nel frattempo il caos di Trieste assume un’eco nazionale.

L’infermeria saccheggiata

Gruppi di detenuti si dirigono verso l’infermeria del terzo piano. Sfondano la porta e scassinano il deposito dei medicinali portando via di tutto: psicofarmaci, metadone, siringhe, aghi e altra attrezzatura potenzialmente tagliente, come forbici. Roba pericolosissima in mani sbagliate. È proprio dall’infermeria che alcuni carcerati si appendono alle inferriate delle finestre, per mostrarsi e gridare verso l’esterno: è da lì che vengono incendiate le lenzuola. Le fiamme e il fumo sono visibili dalla strada. I passanti, sbalorditi, osservano da fuori il caos. La Polizia, per ragioni di sicurezza, transenna l’intera area. Dentro i detenuti distruggono anche l’ambulatorio dentistico, rubando attrezzi. Una razzia del genere pone seri dubbi su come è custodito il materiale sanitario. In questi giorni gli agenti stano perquisendo tratto per tratto alla ricerca dei medicinali e degli strumenti spariti.

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Overdose di metadone

Gli agenti trovano dappertutto decine di boccette vuote di metadone: i detenuti le hanno travasate nelle bottigliette d’acqua. Nelle ore successive verranno registrati almeno tre casi di overdose, di cui uno fatale.

Gli attriti con la direzione

Da quanto risulta, ad oggi, la rivolta non è scaturita da una disorganizzazione dei colloqui dei detenuti con i parenti. E in questi giorni gli incontri con i famigliari, anche in presenza, proseguono regolarmente. Il nervosismo era nell’aria per i motivi del sovraffollamento. E in questo contesto, già molto pesante, avrebbero gravato anche le tensioni con il direttore, Graziano Pujia, accusato dai carcerati – durante la protesta – di aver dato uno schiaffo a un giovane detenuto, un diciottenne tunisino, nel corso di un consiglio di disciplina avvenuto il giorno prima. Non c’è conferma in merito: l’episodio, anzi, è smentito da più parti. L’accusa potrebbe quindi essere stata usata come pretesto? Ma i carcerati avrebbero riferito il fatto, di cui sostengono di essere a conoscenza, al magistrato di sorveglianza, Rosa Maria Putrino, durante la mediazione servita a placare la rivolta.

La mediazione

Ci vuole molto tempo per convincere i detenuti a ritirarsi. Il primissimo tentativo di mediazione fallisce. Ma le forze dell’ordine scelgono la linea morbida: nessuna irruzione. Tanto che gli agenti e i militari in tenuta anti sommossa restano in strada. Con la seconda mediazione, cui prende parte il magistrato di sorveglianza, Putrino, accompagnata dagli agenti, si riesce a ottenere la calma. Sono quasi le undici di sera. Il giorno dopo, in una cella, viene trovata morta una persona.

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