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Green Deal quanto ci costi? 600 miliardi di euro in sei anni e il rischio di un favore alla Cina

Green Deal

Il Green Deal rilanciato ieri da Ursula von der Leyen e approvato dal Parlamento europeo il 12 marzo scorso ha dei costi enormi. Almeno seicento miliardi di euro solo per l’Italia da qui al 2030, secondo stime che non provengono solo da Fratelli d’Italia ma anche da altri partiti. E rifacendo i conti si capisce […]

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Il Green Deal rilanciato ieri da Ursula von der Leyen e approvato dal Parlamento europeo il 12 marzo scorso ha dei costi enormi. Almeno seicento miliardi di euro solo per l’Italia da qui al 2030, secondo stime che non provengono solo da Fratelli d’Italia ma anche da altri partiti. E rifacendo i conti si capisce come sia difficile reperire le risorse per l’attuazione della direttiva.

I costi del Green Deal

Secondo Azione, il partito di Carlo Calenda, la nuova direttiva costerà all’Italia 600 miliardi di euro entro il 2030. Azione votò contro la direttiva lo scorso marzo ma, stranamente, ieri Calenda ha censurato il no di Fratelli d’Italia alla rielezione di Ursula von der Leyen che ha riproposto il programma verde come centrale del suo programma. Anche Forza Italia e Lega si schierarono contro, insieme a FdI, alla direttiva in sede di voto a Strasburgo che fu invece votata da Pd, Cinquestelle, Avs e Italia Viva. Le critiche contro la direttiva si sono concentrate soprattutto sui costi degli interventi di efficientamento energetico che, secondo molti, ricadranno sui cittadini o sui conti pubblici.

La nuova direttiva sull’efficientamento degli edifici fa parte del pacchetto Fit for 55  un insieme di proposte pensate per ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55 per cento entro il 2030. Le emissioni nette sono la differenza tra le emissioni di gas serra generate e quelle riassorbite, per esempio attraverso gli alberi o il suolo. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, gli edifici sono responsabili del 35 per cento delle emissioni di gas serra prodotte in ambito energetico nell’Ue. Queste emissioni sono generate, tra le altre cose, dalla produzione di elettricità per alimentare i sistemi di riscaldamento e di raffreddamento all’interno degli edifici.

Gli obblighi per gli stati membri

In base alla direttiva approvata, ogni Stato Ue dovrà stabilire un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici in modo tale che il consumo energetico medio degli edifici residenziali diminuisca entro il 2030 almeno del 16 per cento rispetto al 2020. Entro il 2035 questa riduzione dovrà essere pari almeno al 20 per cento. Il calo delle emissioni dovrà poi proseguire in maniera progressiva nel 2040 e nel 2045, fino a raggiungere le emissioni zero nel 2050. Il 55 per cento del taglio delle emissioni dovrà essere raggiunto con la ristrutturazione di quasi la metà degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori. Tutti i nuovi edifici residenziali, invece, dovranno essere a emissioni zero dal 2030 e gli edifici pubblici dovranno essere a emissioni zero dal 2028, con alcune esenzioni per gli edifici storici, agricoli o militari.

Nessun finanziamento previsto

La direttiva non prevede nessun finanziamento dedicato al raggiungimento di questo obiettivo, ma si limita a elencare una serie di fondi europei che potranno essere usati dagli Stati tra cui: i fondi del Next Generation Eu, di cui fa parte il Recovery and Resilience Facility, il fondo che finanzia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr); i fondi della politica di coesione europea, che finanziano progetti negli Stati membri per ridurre i divari territoriali; e il Fondo sociale per il clima, un fondo approvato a maggio 2023 che prevede risorse fino a 65 miliardi di euro da spendere tra il 2026 e il 2032 per finanziare i piani nazionali di ristrutturazione degli edifici dei Paesi Ue. Insomma, tanta confusione e zero soldi.

Procaccini: “Un regalo alla Cina”

Già prima dell’approvazione in Parlamento, il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini, aveva aspramente criticato il provvedimento. Nei suoi numeri e nelle modalità di impostazione e attuazione la transizione energetica dettata dalla UE rischia di essere soltanto un colossale regalo alla Cina. Come evidenziato dall’Aie, l’Agenzia internazionale dell’energia, la Cina ha ormai il monopolio assoluto della produzione di pannelli solari ma anche delle materie prime e praticamente di ogni componente della catena, dal silicico fino al pannello finale. Il vero paradosso è che tutto questo è finanziato proprio dalla Ue che è schiacciata sul solare per il quale è totalmente dipendente da Pechino”, aveva detto Procaccini.

Pechino non conosce limiti

La Cina continua a emettere più anidride carbonica di Stati Uniti ed Europa messi insieme. E il paragone ovviamente non va fatto in base alla popolazione ma alla capacità industriale. Il Green Deal rischia di affossare l’economia europea prevedendo misure che non hanno risorse e non intervenendo su una globalizzazione che continua a ignorare la questione  ambientale.

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