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Incendio alla Gobbo di Azzano Decimo, danni per un milione: «Ma ripartiremo subito»

AZZANO DECIMO. Quando, alle 5.39, l’allarme è scattato il primo pensiero è andato a chi, quel capannone, l’ha costruito mattone su mattone.

Ma una volta messi in salvo Luigi Gobbo e la moglie Piera, i figli Fabio e Daniela Gobbo, che oggi gestiscono l’omonima ditta di surgelati ad Azzano Decimo il cui capannone è andato completamente distrutto mercoledì 17 luglio, si sono immediatamente messi al lavoro per ripartire.

Mentre i vigili del fuoco spegnevano le fiamme che hanno devastato 55 anni di lavoro – duemila metri quadri di celle frigorifere con all’interno merce per un milione destinata a strutture alberghiere e ristoranti che vanno da Grado a Jesolo, da Piancavallo alle colline di Conegliano – i titolari già pensavano a rinnovare gli ordini, trovare un magazzino alternativo, demolire e ricostruire quel capannone rinnovato nei primi anni 2000.

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«Contiamo di ripartire con le consegne già da lunedì» spiega Fabio Gobbo insieme con i collaboratori.

Una parola, insieme, che in questo contesto ha un significato particolare. Quello, per esempio, dei dipendenti, degli agenti, dei fornitori e dei clienti che da mercoledì stanno facendo sentire la loro vicinanza ai Gobbo.

Quello, altrettanto apprezzato dai titolari, del sindaco e delle istituzioni che hanno portato la loro solidarietà dopo l’incendio. Quello, esempio virtuoso di una terra laboriosa e solidale, della ditta che ha messo a disposizione un magazzino con celle frigorifere «senza limitazioni di tempo».

«Vogliamo ringraziare loro, la Al-Gel di Cordenons e in particolare Bruno e Diego Mastrochicco, insieme ai vigili del fuoco che mercoledì, per tutta la giornata e con temperature importanti, hanno lavorato senza sosta» spiegano i Gobbo.

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Sono tornati anche giovedì 18 luglio, per controllare eventuali ultimi focolai e per lo smassamento. Ma il lavoro dei tecnici non finisce qui: bisognerà capire cosa abbia generato l’incendio, preceduto da un denso fumo.

Tutto fa pensare a componenti elettriche, forse i pannelli fotovoltaici che tuttavia erano stati sostituiti a gennaio, dopo l’ultima violenta grandinata. «È presto per definire la causa dell’incendio – spiegano in azienda – perché non siamo ancora stati in grado di accedere alla zona».

L’area attualmente non è stata posta sotto sequestro: la Procura di Pordenone è stata informata del rogo, seguito con attenzione dal Nucleo investigativo antincendio dei vigili del fuoco.

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«Non abbiamo mai ricevuto minacce, non c’è stata nessuna intrusione. Ci solleva sapere che nessuno si sia fatto male e che Arpa non abbia rilevato polveri in atmosfera né ci siano stati sversamenti nei canali. La struttura, evidentemente, era stata pensata bene» continuano i Gobbo.

Ora la famiglia pensa a come ripartire, forte della solidarietà di «amministrazione, cittadini, vicini e clienti che ci sono venuti a trovare, confermando gli ordini – continua Gobbo –. Magari attenderanno un po’ di più, ma saranno pazienti. È frutto di un rapporto umano che va ben oltre quello commerciale e del quale siamo orgogliosi».

C’è dolore e c’è speranza, in quel piatto portato in tavola al ristorante, in quella rilassante colazione in albergo.

C’è la storia di un imprenditore che ha noleggiato nuovi furgoni per rimpiazzare i suoi cinque distrutti dalle fiamme. Che mentre guardava il suo stabilimento in fumo, avvisava fornitori e clienti immaginando già un capannone nuovo di zecca. Che accettava quella mano tesa, in un momento di grande difficoltà. Per ripartire, insieme.

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