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Tonetto, il papà Max e le estati con i nonni: «Sono un po’ triestino e voglio tornare in B»

Tonetto, il papà Max e le estati con i nonni:


«Sono un po’ triestino e voglio tornare in B»

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Se Max Tonetto è nato a Trieste ma con l’Unione non ci ha mai giocato, il figlio Mattia che è nato a Lecce, a 23 anni indosserà già la maglia alabardata. Da terzino sinistro, proprio come il padre, cercherà di assicurare spinta e dinamismo alla Triestina di Santoni.

Tonetto, ma papà Max l’aveva mai portata a Trieste?

«Certo, fino ai 14 anni ho passato a Trieste tutte le estati e anche le festività classiche come Natale e Pasqua. Ma anche in seguito sono tornato spesso, anche un paio di anni fa, per salutare i parenti. Insomma un po’ triestino lo sono».

Visto che c’è questo legame, che effetto fa giocare ora nella Triestina?

«Intanto posso rivedere con continuità nonni e parenti, e poi potrò giocare con la maglia alabardata al Rocco, uno stadio spettacolare che vale serie superiori. Ci avevo giocato già tre volte con Imolese, Cesena e Feralpi, ma ora sarà ancora più emozionante. A papà, pur essendo triestino, non è mai capitato».

Come è nato questo trasferimento?

«Il mio procuratore conosceva già Alex Menta per rapporti avuti a Venezia, la Triestina cercava assolutamente un terzino e a me è arrivata una proposta con un’offerta scritta, e non a parole come al solito. Considerato questo forte interesse per me, non ci ho pensato due volte ad accettare».

E papà Max come l’ha presa?

«Quando gliel’ho detto era contentissimo, del resto la Triestina è una società seria e dalla grande storia».

Gioca nello stesso ruolo di suo padre: un caso o è stato influenzato?

«Nessuna influenza, anche perché da piccolino non è che poi seguivo moltissimo il calcio. Quando ho iniziato calciavo di sinistro, mi hanno provato in attacco ma come bomber non ero chissà che, via via mi hanno spostato in difesa e lì è iniziata la mia carriera». Come si descrive come terzino? «Sono uno di spinta, corro molto su e giù per la fascia, ho fatto anche il quinto nel 3-5-2, mi piace molto attaccare, andare verso la porta e crossare. Ma ovviamente devo dedicarmi bene anche alla parte difensiva».

Ha vinto la serie C con la Feralpi: qual è la ricetta?

«Una precisa ricetta non esiste. Ha grande importanza l’essere gruppo e poi avere un po’ di fortuna che aiuta sempre, anche se bisogna cercarsela. A Salò ho visto che ha contato più il gruppo che la tattica, ci aiutavamo a vicenda, ci si frequentava anche dopo l’allenamento. In questo modo poi in campo diventa più facile».

Ha avvertito molto il salto in B?

«Cambia molto. Parlando da difensore, in serie C il pressing è più forte, in serie B ti lasciano giocare di più. Ma la qualità si alza e quindi se ti addormenti due secondi, ad esempio sui calci piazzati, prendi gol al cento per cento, mentre in C puoi sperare che gli avversari sbaglino».

E sul piano personale?

«Credo mi sia mancato solo un tassello in più di concentrazione, perché quanto a gamba mi sentivo bene e la categoria sento di valerla. Ma vorrei tornarci con la Triestina, nella mia testa c’è l’ambizione di riportarla in B dopo tanti anni e vedere un Rocco pieno».

Con l’arrivo dell’olandese Bijleveld la concorrenza nel ruolo non mancherà.

«Ma la concorrenza c’è sempre ed è solo uno stimolo in più a far meglio del proprio compagno, senza che si generi nessuna invidia». —

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