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Bimbo invalido per una diagnosi tardiva: famiglia risarcita con 3,5 milioni di euro

Quasi 3,5 milioni di euro. È quanto è chiamata a risarcire la sanità padovana alla famiglia di un bimbo a causa di una diagnosi tardiva in presenza di ittero. Un errore che è costato al piccolo, nato nel 2017, una condizione neurologica grave che ne ha compromesso lo sviluppo psicomotorio con un quadro di tetraparesi, ipovisione oltre che aposturale e distonico.

La vicenda giudiziaria era iniziata nel 2019 con la domanda di risarcimento alle due aziende sanitarie da parte dei genitori del piccolo per un’asserita tardiva diagnosi di iperbilirubinemia severa a prevalente componente indiretta in sospetta Sindrome di Crigler-Najjar.

In particolare, all’Usl 6 veniva contestata la carente prestazione del pediatra di libera scelta che non aveva prescritto un controllo della bilirubina totale nonostante l’evidente presenza di ittero, nonché la carente organizzazione delle assistenti sanitarie del distretto di Rubano in quanto «prive di strumenti adeguati». All’Azienda di via Giustiniani, invece, venivano imputate le dimissioni intempestive del bimbo che, a pochi giorni dalla nascita presentava valori di ittero in crescita – motivo per cui si riteneva avrebbe dovuto essere trattenuto per monitorare la bilirubina e iniziare la fototerapia –, nonché la carente informazione sul suo stato di salute.

A fronte del quadro, il consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto tutti i convenuti responsabili del danno con un 60% a carico dell’Uoc Terapia Intensiva e Patologia Neonatale dell’Azienda per il nesso tra l’operato del personale sanitario e l’encefalopatia bilirubinica insorta nel bimbo; il 30% a carico del pediatra di libera scelta che, pur evidenziando la presenza di ittero non vi aveva attribuito importanza e per il 10% alle assistenti sanitarie che, rilevando a loro volta la presenza di ittero, non avevano consigliato approfondimenti tempestivi. Secondo la consulenza, si era di fronte a un’invalidità del 92% con un’aspettativa di vita tra i 40 e i 60 anni in relazione al tipo di assistenza erogata al bimbo. Gli accertamenti, inoltre, avevano evidenziato che una diagnosi tempestiva e un trattamento adeguato avrebbero impedito questa grave condizione clinica.

Alla fine il giudice del Tribunale di Padova ha stabilito che le colpe di quanto accaduto andassero divise tra Azienda Ospedale Università per il 67% e per il restante 33% al pediatra di libera scelta, ritenendo tuttavia che non ci siano state violazioni sul fronte del consenso informato e che le assistenti sanitarie dell’Usl 6 non fossero da considerare responsabili poiché, anche qualora avessero segnalato la problematica a una delle due aziende sanitarie, nulla sarebbe cambiato.

Infine, l’Azienda Ospedale Università è stata condannata dalla Corte d’Appello di Venezia a pagare 106 mila euro per un altro caso pediatrico, questa volta di meningite batterica su un bimbo nato nel 2008 all’ospedale di Thiene e seguito in seguito da via Giustiniani, che ha riportato invalidità permanente ed epilessia. In particolare, il Tribunale veneziano – in riforma della parziale sentenza di primo grado di quello di Vicenza che aveva evidenzialo l’impossibilità di stabilire un nesso causale tra le cure e la malattia – ha raccolto la domanda relativa alla perdita di chance di guarigione e di futuro guadagno del paziente, rigettando le richieste risarcitorie dei genitori e confermando che i due terzi della responsabilità siano da ricondurre all’Usl Pedemontana e solo un terzo a quella padovana.

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