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Alessio Boni e la radio yankee e jugo

Alessio Boni e la radio yankee e jugo

foto da Quotidiani locali

GORIZIA. Le radio libere che negli anni ’70 e ’80 rappresentarono quello straordinario fenomeno di massa di libertà espressiva e di multiculturalità, non sono un’invenzione legata ai movimenti libertari sessantottini e postsessantottini. Ci sono stati nelle storia recente di questo media altri momenti di trasmissioni sorte spontaneamente ad arricchire il panorama dell’informazione ufficiale.

Un esempio? Talk Radio che a Gorizia, sotto occupazione alleata tra il 1945 e il 1947 (anno in cui il capoluogo isontino tornò all’Italia), fece conoscere i grandi capolavori del jazz d’oltreoceano: le musiche di Benny Goodmanm, Duke Ellington, del giovane Frank Sinatra, ma anche dei classici come George Gershwin e Cole Porter.

Ora quella storia rivive in un racconto concerto che va in scena per Mittelfest lunedì sera alle 21.30 nella chiesa di San Francesco a Cividale (e non in piazza per l’incertezza meteo). Protagonisti: il popolare interprete di tanti film e fiction tv, Alessio Boni, che leggerà il testo firmato da Angelo Floramo, e l’Accademia musicale Naonis diretta da Valter Sivilotti, anche ideatore della serata con lo speaker radiofonico Marco Caronna, e i solisti Glauco Venier al pianoforte, Mirko Cisilino alla tromba e Alfonso Deidda al sassofono.

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«Una storia bellissima e di grande interesse - racconta Alessio Boni, raggiunto telefonicamente sul set del suo nuovo film a Locarno - durata i due anni di permanenza delle truppe alleate a Gorizia che la inventarono per dare voce al loro sentire, per nostalgia e amore per una musica, dal jazz al soul, che meglio di altre esprimeva la loro anima. Coinvolgendo però, e qui sta il bello!, anche elementi locali, friulani e slavi, sedici elementi, una jugo-yankee band davvero unica e strana, frutto di quell’ambiente multiculturale che è stata Gorizia».

Una storia finita non benissimo, però?

«Infatti, quando gli americani se ne sono andati, hanno bruciato spartiti e distrutto tutti dischi, per cui di quel materiale eccezionale che ha fatto unire persone molto diverse tra loro, è rimasto poco o niente».

Resta comunque un dato importante, e cioè come la musica possa unire e far superare barriere linguistiche e diffidenze etniche.

«La musica è per questo meravigliosa. Va oltre le frontiere. La frontiera, scrive Floramo, è femmina, accogliente, materna, un valico che ti immette in mondi diversi, culture e sapori differenti, mentre il confine che è maschile, è qualcosa di violento, esclusivo».

C’è un personaggio in questo racconto, oltre alla musica?

«Certo, io interpreto un goriziano che non lascerebbe mai la sua città affascinato dalla sua storia e dal suo essere stato crocevia di genti e culture cui non sa rinunciare. A un certo punto dice ‘nella grande città dentro non ti si attorciglia nulla, qui, dentro le budella si attorciglia tutto».

Questa è la sua prima volta a Mittelfest, ma il Friuli è stato presente nella sua carriera, con un singolare episodio avvenuto proprio agli inizi, appena uscito dall’Accademia, primi anni ’90.

«Come no? Il Labirinto di Orfeo, uno spettacolo del CSS, itinerante nelle segrete del Castello di Udine: un’esperienza meravigliosa, anche se eravamo pagati con i buoni Standa. Bellissimo ricordarlo, c’era tanta passione, solo passione. Un ricordo fantastico».

Poi è arrivato il cinema con quel capolavoro che è La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, e da lì la sua carriera ha preso il volo.

«È stato un viaggio dell’anima. Il regista non ci ha fatto provini d’attore, ma a degli uomini e a delle donne, voleva raccogliere un insieme di anime, più che d’attori. Una favola davvero!».

Un’esperienza così unica, le è capitato di rifarla, dopo, con i tanti film e le tante fiction tv fatti in tutti questi anni?

«No, il mondo dello spettacolo in questi venti anni è cambiato radicalmente, c’è anche qualità, ovviamente, ma la mission è soprattutto quella di fare audience, ascolto, botteghino. Si è un po’ tutto mercificato, e non lo dico con la puzza sotto il naso, ché di professionalità ce n’è tanta, ma con una punta di rammarico. C’è sempre l’anima, ma il commercio è molto potente, spesso predominante. Anche se io continuo a fare questo mestiere come un artigiano della parola, che tale mi sento, come mi hanno insegnato i grandi maestri con cui ho lavorato, Orazio Costa Giovangigli in primis».

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