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C’è un problema politico se solo l’1% dei device Windows è stato in grado di paralizzare il pianeta

A qualche giorno di distanza da quello che è stato definito il più grande disastro informatico degli ultimi tempi (anzi, uno di quelli che si candida a pieno diritto dall’essere considerato il più grave in assoluto), è possibile ragionare a mente lucida e fredda su alcuni numeri che dovrebbero sollevare un problema politico. Innanzitutto, l’impatto esteriore che la combo di problemi sull’asse Crowdstrike (provider di cybersicurezza) e Microsoft (i cui dispositivi sono andati in conflitto con l’aggiornamento recentemente rilasciato dalla stessa Crowdstrike): parliamo di circa 7mila voli cancellati in tutto il mondo, parliamo di diverse compagnie aeree ed aeroporti nel caos nella giornata del 19 luglio in tutto il mondo, parliamo di un effetto a cascata – visti i ritardi collegati alle operazioni di imbarco avvenute in maniera manuale – anche su aeroporti e compagnie aeree non direttamente coinvolte, parliamo di una delle più grandi banche americane (JPMorganChase) che ha avuto problemi con i suoi servizi e che non è riuscita a erogare il denaro in corrispondenza di richieste di prelievo da parte dei suoi correntisti, parliamo di una emittente come Sky che – per larghi tratti della giornata – ha dovuto rinunciare ad alcuni suoi servizi essenziali per la messa in onda, tornando ad alcune dirette vecchio stampo.

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Crowdstrike e Microsoft, la paralisi del 19 è un problema politico

Ma parliamo anche dell’impatto reale del problema e capiamo se le conseguenze che ha avuto possono essere giustificate. Secondo le stime diffuse da David Weston, vicepresidente della sicurezza aziendale e dei sistemi operativi di Microsoft, il grande down informatico che ha provocato la temibile BSOD, ovvero la “schermata blu della morte”, ha riguardato 8,5 milioni di macchine Windows (tutte nella versione 7.11 e successive, in grado di utilizzare il Falcon sensor di CrowdStrike, il cui aggiornamento risultava essere incompatibile con Windows, ma non con iOS e Linux). Bene. Si tratta dell’1% di macchine che utilizzano Windows. Si tratta di una percentuale ancor più bassa se consideriamo l’intero numero di computer e device impiegati su tutto il pianeta. Una sorta di oligarchia informatica.

Vi ricordate le statistiche che ci dicono, ad esempio, che l’1% della popolazione mondiale possiede il 44,5% della ricchezza di tutto il globo (dato del Global wealth report di Credit Suisse e Ubs)? Anche in quella circostanza, lo definiamo un problema politico: si parla di tassazione non equa, si parla di scorretta distribuzione delle risorse economiche mondiali, si parla di una sorta di egoismo che impedisce di risolvere problemi come la fame nel mondo e il divario tra Paesi (o interno, tra le popolazioni dello stesso Paese). Dire che meno dell’1% delle macchine (Windows) di tutto il mondo è stato in grado di paralizzare il traffico aereo di tutto il mondo occidentale e non solo; dire che meno dell’1% delle macchine (Windows) di tutto il mondo ha bloccato servizi bancari e digitali in vaste aree del globo è più o meno la stessa cosa.

Giornalettismo parla spesso della scarsa autonomia digitale che gli stati e le loro istituzioni si portano dietro. La concentrazione nelle mani di Big Tech di grandi fette di un mercato che muove il mondo (come abbiamo visto, non partono voli senza un sistema operativo correttamente funzionante, non si può prelevare denaro da una banca senza sistema operativo correttamente funzionante) deve farci riflettere su quanto le nostre operazioni quotidiane siano legate a doppio filo con questi colossi che hanno le loro sedi negli Stati Uniti o in altre parti del mondo. La soluzione non può essere quella di una limitata concorrenza, ma della necessaria individuazione di alternative più prossime all’utente (e, soprattutto, autosufficienti) che possano contenere i danni in caso di problema globale. Un po’ quello che tutti avevano detto all’indomani del massiccio down di Meta, che per diverse ore aveva impedito agli utenti di tutto il mondo di comunicare via WhatsApp, di postare foto o video su Instagram e Facebook. Anche allora si parlò della necessità di trovare un’alternativa. Ancora oggi questa alternativa non si mostra all’orizzonte.

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