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Culto dei monumenti contro la cancel culture: la visione mediterranea è l’antidoto al nichilismo

Se l’Occidente è sempre più privo di identità ed è divenuto permeabile a ogni tipo di “monnezza” pseudo culturale, spacciata come conquista del progresso e della libera manifestazione del pensiero, non è certo il caso di fare analisi spicciole per individuare i traumi che ne sono all’origine. Non è neanche risolutivo sottolineare le fragilità del concetto stesso di “occidente”, privo com’è di una propria esatta connotazione, perché erede di visioni geopolitiche disomogenee e storicamente “deboli” che non è qui il luogo per approfondire. Per guardare a ciò che potrebbe essere auspicabile, si può, semmai, partire da una dimensione geoculturale reale e decisamente “forte”: il Mediterraneo.

Il Mare nostrum è stato nei millenni culla di civiltà, fulcro di grandi tradizioni e luogo di intensi scambi economici e culturali, soprattutto con l’Oriente. I popoli che vissero nelle terre che si affacciano nel Mediterraneo hanno, per lungo tempo, fra reciproci conflitti e altrettanto reciproche relazioni, affermato una visione del mondo, un’idea del mondo, che si è sviluppata su solide fondamenta, contrassegnando la storia dell’uomo.

Quando qualche anno fa il movimento della cosiddetta “cancel culture”, dalle università statunitensi ha preso di mira la Cultura Classica, a torto l’ha considerata come la madre del razzismo, delle diseguaglianze, del sessismo, del suprematismo e di tutto ciò che ha inteso combattere. In certi casi, come avvenuto nell’Università di Princeton, ma anche in molte altre realtà accademiche oltreoceano, sono stati aboliti gli studi classici, messo al bando il pensiero greco e latino e rimossi da diverse opere i contenuti considerati non aderenti ai valori contemporanei. Altre volte sono stati inseriti avvisi per informare i fruitori di contenuti altamente offensivi o che potevano provocare ansia in chi vi si accostasse: insomma, il delirio ideologico si è presto trasformato in censura e nella conseguente cancellazione di ciò che potesse essere non in linea con il dogma progressista.

In tal modo, si è consumata (ed è tuttora in atto) un’operazione di disonestà intellettuale che ha avuto risvolti non indifferenti: i fautori della “cancel culture” hanno, infatti, deliberatamente spostato la mira dalle vere cause del proprio malessere che, nella realtà, risiede tutto nelle profonde contraddizioni della società USA e non certo nell’antichità classica, i cui fari erano l’antica Roma e la Grecia, durante la quale vi era un sistema di valori del tutto estraneo (non opposto, si badi bene) a quello attuale, neanche lontanamente sovrapponibile e nemmeno paragonabile alla società contemporanea, ai suoi malesseri e alle sue patologie. Indifferente all’oggi, poiché espressione di un mondo antico (e universale) con ben altri codici esistenziali e governato da leggi “cosmiche” e divine.

Spostare l’asse del conflitto, prendendosela con tutto ciò che puzza di classico, è, pertanto, espressione di una strategia ben precisa, che mira a delegittimare la cultura antica e classica, per affermare, al contrario, visioni relativistiche e individualistiche, proiezioni dirette di una società economicistica e tecnocratica, figlia dell’ideologia globalista, oggi dominante in occidente, ovvero nel grande spazio geografico identificato con tale termine. L’effetto finale di un simile processo è senz’altro l’impoverimento intellettuale di tutti, soprattutto i ragazzi, bersagliati da modelli e influencer, da parole d’ordine e ideologie mordi e fuggi, espresse soprattutto per mezzo dei social, che tanto non costano niente e si nutrono di bassa demagogia, portando a un vertiginoso appiattimento. Modelli in grado, però, di plasmare, di manipolare e infine, di creare un sistema di “nuovi valori” opposto rispetto a ciò che si voleva eliminare.

Di fronte a tutto questo lamentarsi non serve. Anzi, è deleterio. E non è neanche utile difendersi, visti gli enormi mezzi messi in campo: non è superfluo, qui, sottolineare come spesso le politiche di coloro che hanno tentato di alzare il dito per esporre tesi opposte a quelle globaliste, siano state fin troppo timide o si siano limitate alla “reazione”, come si farebbe per difendere un fortino assediato. Tutto ciò, ovviamente, non porta da nessuna parte, se non a ritardare di un po’ l’assedio e la capitolazione finale.

In bilico su questo vortice, ecco che viene alla mente la celebre frase (fin troppo abusata ed equivocata) di Julius Evola, che in “Cavalcare la tigre” ricorda come sia opportuno “portarsi non là dove ci si difende, ma là dove si attacca”; dunque, invertire il flusso: non difendersi ad ogni costo, ma semmai “attaccare”. E il modo migliore per farlo è semplice: rimettere la Cultura Classica al centro di una grande visione culturale e lavorare affinché ciò possa, man mano, essere condiviso da un numero crescente di persone.  Occorre, perciò, rivalutare quel lungo periodo storico che ha visto il Mediterraneo protagonista assoluto, favorendo la conoscenza della cultura e della civiltà greco-romana. E serve farlo fin dalla scuola, ma anche nelle famiglie, mediante azioni che possano agevolare tale conoscenza, come programmi (anche di studio) incentrati sull’amore e il rispetto verso i propri monumenti (non certo plaudendo a coloro che li deturpano per fini ideologici), che sono la testimonianza attuale, contemporanea, non soltanto del passato, ma di un’identità antica che ha oltrepassato i secoli per arrivare fino a noi. I beni culturali sono molto più che un’attrattiva turistica, poiché rappresentano l’anima e il cuore di un popolo, il proprio biglietto da visita che ne testimonia la storia e l’evoluzione.

Non è un caso, ad esempio, che il Parco Archeologico del Colosseo, con l’Anfiteatro Flavio, sia oggi il luogo più visitato d’Italia e il secondo al mondo dopo la Grande Muraglia Cinese: ciò vuol dire che c’è una base su cui poter lavorare. Non è solo turismo o turismo culturale, è l’essenza stessa della vita dei popoli. Per questa ragione, sono auspicabili politiche ad hoc che favoriscano, nel breve e nel medio periodo, la conoscenza dell’archeologia, dei classici, dell’arte, della filosofia greca, della spiritualità antica, della sacralità dei luoghi, con strumenti che arrivino a tutti: per far nascere e sviluppare una grande visione mediterranea, contemporanea ma con un’anima antica e radicata, di cui siamo chiamati ad essere i nuovi interpreti. Non cancellando, ma affermando, non chiudendoci in noi stessi, ma coltivando la bellezza del Mito Classico, sempre attuale poiché universale e senza tempo.

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