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Arriva la legge contro il femminile? Noto una certa ironia a distanza di anni dal ddl Zan

Arriva la legge contro il femminile? Noto una certa ironia a distanza di anni dal ddl Zan

Se un qualsiasi dio esiste, e il mio ateismo vacilla ogni giorno di più di fronte a casi come quello che sto per trattare, ha di certo un grande senso dell’ironia. Ricordate il ddl Zan? Sì, quella presunta legge “liberticida” che – a sentir eserciti di sedicenti “femministe” – avrebbe cancellato le donne, sacrificandole all’altare […]

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Se un qualsiasi dio esiste, e il mio ateismo vacilla ogni giorno di più di fronte a casi come quello che sto per trattare, ha di certo un grande senso dell’ironia. Ricordate il ddl Zan? Sì, quella presunta legge “liberticida” che – a sentir eserciti di sedicenti “femministe” – avrebbe cancellato le donne, sacrificandole all’altare dell’identità di genere (per le menti più semplici, il “gender”) e che avrebbe indotto miliardi di italiani a cambiar sesso una mattina sì e l’altra pure? Lo ricorderete sicuramente.

Ebbene, diverse tra quelle attiviste ai tempi della legge contro l’omolesbobitransfobia vennero audite in Senato da Ostellari, il presidente della Commissione Giustizia (della Lega), con lo scopo di mandarne a monte l’approvazione. Cosa che allora gli riuscì. E non fu un caso che, nelle settimane a seguire, da quel mondo si cominciò a guardare con interesse al futuro governo Meloni e alle destre in generale. “Perché sì, signora mia, vuol mettere la prima presidente donna (sic)? Non potrà che fare gli interessi delle donne…” questo fu il ragionamento.

Ora è notizia fresca fresca che proprio quella Lega ha proposto, nella persona di Manfredi Potente, un provvedimento per vietare il genere femminile negli atti pubblici: “La presente legge intende preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come ‘Sindaco’, ‘Prefetto’, ‘Questore’, ‘Avvocato’ dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”. E ancora: “È ammesso l’uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista”.

Per chi non si adegua, prevista una multa fino a 5.000 euro. Un provvedimento liberticida, questo sì, e fuori da ogni piano della realtà per una serie di ragioni che sarà il caso di vedere insieme, velocemente:

1. si dice di voler preservare la lingua italiana… combattendo la grammatica della lingua italiana! Un capolavoro di non sense assoluto. Che è un po’ come fare la guerra per preservare la pace e altre amenità simili. La lingua italiana, scusate lo spoiler, prevede il genere femminile. Se dici “maestra”, femminile di “maestro”, puoi dire “ministra”, femminile di “ministro”. Le regole di derivazione sono le stesse. E non è un neologismo, come sostiene qualcuno. Basterebbe appunto aver studiato le regole della grammatica e la linguistica per averne contezza. Ma mettere nella stessa frase “cultura”, “destra” e “Lega” è un azzardo retorico che non mi sento di fare;

2. ma non c’erano cose più urgenti da fare? Ai tempi del ddl Zan, infatti, questo era un mantra quasi quotidiano. Ripescato, in Italia, ogni volta si è tentato di legiferare a favore delle persone Lgbtqia+. “Unioni civili? C’è altro a cui pensare!”; “lotta al bullismo omofobico? Sono altre le priorità del Paese”; “ddl Zan? La politica si occupi di cose più urgenti”. Tutti grimaldelli argomentativi della destra. Adesso sappiamo quali sono le cose per cui vale la pena impegnarsi: far la guerra alla grammatica;

3. la lingua non la cambi per decreto. La lingua si evolve con l’evoluzione sociale. Se adesso usiamo di più il femminile, nei nomi di professione, è perché le donne sono più presenti in quei settori dove si usano termini come “ministra”, “sindaca”, “avvocata”, “assessora”, “rettrice”, ecc. Il “maschile non marcato” con valore neutro è un’invenzione di qualche grigio accademico, rigorosamente maschio, che non ha nessuna intenzione di cedere potere. E soprattutto non è un destino ineluttabile. Esiste nella misura in cui lo sguardo maschile ha dominato la vita quotidiana, imponendosi sulle scelte della lingua. Adesso che in quella vita si affacciano anche le donne, gli usi sono destinati a cambiare. Potete farci pace, perché è un cambiamento strutturale irreversibile.

In questo quadro in bilico tra analfabetismo grammaticale e ritardo evolutivo, si innesta quella sottile e superiore ironia che sembra voler punire di peccato di hybris le “femministe” (o terf, se preferite) che all’epoca gridarono alla cancellazione delle donne, appoggiando la destra più becera contro il ddl Zan. Bene ora quella stessa destra vuole cancellare il femminile. E ribadendo quando detto in apertura: non so se qualche dio esiste, ma se esiste è di certo un gran mattacchione.

Aggiornamento:

Nel momento della pubblicazione del presente post, la proposta di legge veniva ritirata anche tra le molte critiche della stessa maggioranza di destra. Ne prendo atto. Restano in piedi, tuttavia, le criticità di quella proposta, indicativa di un modo di pensare e di affrontare il cambiamento sociale relativamente alla questioni di genere nella cultura di destra.

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