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No alle parole ‘sindaca’ e ‘avvocata’: la Lega vuole vietare il genere femminile

Basta con i termini "avvocata" e "sindaca". Una proposta di legge della Lega punta a vietare negli atti pubblici "il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali

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Reazionari e retrogradi che evidentemente hanno scelto di puntare sul voto dell’Italia più oscurantista e retrograda.

Basta con i termini “avvocata” e “sindaca”. Una proposta di legge della Lega punta a vietare negli atti pubblici “il genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”.

Il testo, firmato dal senatore leghista Manfredi Potenti, è ancora una bozza da sottoporre al drafting, ma è già molto chiaro nelle premesse: lo scopo è quello di “preservare l’integrità della lingua italiana”. Dopo anni in cui, con “prime cittadine” spesso sulle prime pagine come Virginia Raggi e Chiara Appendino, la parola sindaca è diventata di uso corrente, il Carroccio vuole eliminare questo e altri termini simili dal linguaggio comune. 

“Preservare l’integrità della lingua italiana”

 Ecco il testo di presentazione della proposta: “La presente legge intende preservare l’integrità della lingua italiana e, in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come ‘sindaco’, ‘prefetto’, ‘questore’, ‘avvocato'” tutelandoli dai “tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”.

“Occorre – continua il testo – scongiurare che la legittima battaglia per la parità di genere, al fine di conseguire visibilità e consenso nella società ricorra a questi eccessi non rispettosi delle istituzioni”. Per questo si ritiene “necessario un intervento normativo che implichi un contenimento della creatività nell’uso della lingua italiana nei documenti delle istituzioni”. 

L’articolo 3 sull’uso della lingua italiana negli atti pubblici mette nero su bianco il “divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso o a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l’uso della doppia forma o il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista”. Obiettivo, si legge nell’articolo 1, è “preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalle necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici”. 

Multe

 Un capitolo a parte hanno le multe, di cui si parla nell’articolo 5: “La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da mille a 5mila euro”. 

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