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Staminali e terapie geniche, quando gli scienziati mettono paletti alla ricerca

TRIESTE. Ci sono due notizie recenti, di contenuto diverso, che vale la pena di commentare.

La prima viene dall’Inghilterra e riguarda la generazione di embrioni umani a partire dalle cellule staminali. Tradizionalmente, gli embrioni umani per la ricerca si ottengono con la fecondazione in vitro tra una cellula uovo e uno spermatozoo da donatori. Secondo le normative inglesi – tra le più liberali al mondo – questi embrioni umani comunque non possono essere mantenuti più di 14 giorni. Ma negli ultimi anni è emersa un’alternativa, ovvero quella di creare embrioni a partire dalle cellule staminali. È sufficiente trasformare una qualsiasi cellula di un individuo (ad esempio, una cellula della pelle o del sangue) in una cellula embrionale staminale utilizzando quattro geni che ne dirigono la riprogrammazione, per poi trasformare quella cellula staminale in un embrione, potenzialmente in grado di dare origine a un nuovo essere vivente.

Dal momento che questi embrioni non sono il frutto della fecondazione, non c’è di fatto un limite legale al tempo per cui possono essere studiati. Questa possibilità è molto interessante, perché consente di analizzare eventi che accadono dopo il 14esimo giorno di sviluppo, inclusa la formazione del cervello, ma pone problematiche etiche importanti.

Un gruppo di scienziati inglesi, ora, dopo più di due anni di consultazioni con avvocati, sociologi, bioeticisti e coinvolgendo anche il pubblico generale, ha pubblicato un codice di condotta per un approccio responsabile a questa tecnologia, in grado di evitare un far west nei laboratori.

La seconda notizia viene invece dal mondo della terapia genica. In un articolo pubblicato questa settimana su Nature un gruppo di scienziati affronta il problema del costo esorbitante delle nuove terapie geniche per curare le malattie ereditarie.

Sono ormai 19 le terapie di questo tipo approvate dalla FDA negli Stati Uniti, un successo straordinario dalla medicina. Allo stesso tempo, però, queste terapie geniche sono i più costosi trattamenti oggi sul mercato.

Ad esempio, le ultime due terapie approvate sono entrambe dirette alla cura dell’anemia a cellule falciformi e consistono l’una in un vettore virale che veicola nelle cellule del sangue il gene corretto per formare l’emoglobina e l’altra in un trattamento di editing genetico che compensa il difetto ereditario. Entrambe si sono rivelate risolutive nel curare queste malattie, cambiando esistenze brevi e straziate dalla patologia in vite normali. Ma il trattamento con il vettore virale costa 3.1 milioni di dollari per paziente e quello per l’editing genetico 2.2 milioni. L’anemia a cellule falciformi uccide circa 400 mila persone ogni anno, più del 75% delle quali vivono nell’Africa sub-sahariana e in India. I costi sono talmente improponibili che anche da noi in Europa la biotech che produce il vettore virale ha rinunciato all’approvazione da parte dell’EMA per concentrarsi soltanto sul ricco mercato delle assicurazioni negli Stati Uniti, tanto da lasciare i pazienti europei senza terapia.

Nel nuovo articolo su Nature, gli scienziati, coordinati da Jennifer Doudna, una delle vincitrici del premio Nobel per lo sviluppo dell’editing genetico, indicano la via da seguire per portare queste terapie ad essere prodotte direttamente nei Paesi in via di sviluppo.

L’articolo indica una strategia in grado di ridurre i costi di produzione di almeno dieci volte, gestendo meglio il valore dell’investimento pubblico e riducendo le aspettative talvolta esose degli investitori che hanno finanziato le biotech che hanno sviluppato questi farmaci.

C’è un elemento che accomuna queste due notizie, apparentemente così diverse, ed è l’intervento diretto dei ricercatori nel tentare di colmare il vuoto politico e legislativo nei rispettivi settori.

Una vignetta che mi piace molto, e che mostro spesso ai convegni su scienza e società, mostra un cavallo imbizzarrito che fugge dalla fattoria, inseguito dal cowboy, e più distante, dalla moglie del cowboy. Il cavallo rappresenta la scienza, che rompe i recinti e s’invola veloce. Il cowboy è l’etica, che affanna a stargli dietro, mentre la moglie del cowboy è la legge, che arriva da ultima, quando il cavallo è già lontano. Quest’allegoria descrive bene quello che è successo tante volte negli ultimi anni, con normativa e politica che fanno fatica a stare dietro all’innovazione.

È interessante ora vedere come siano gli scienziati stessi (il cavallo) a doversi fermare per suggerire ai legislatori (la moglie) come riuscire a controllarli.

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