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Orsi in Trentino, lo zoologo del Wwf Antonelli: “15 anni senza prevenzione. Ecco come comportarsi”

Orsi in Trentino, lo zoologo del Wwf Antonelli: “15 anni senza prevenzione. Ecco come comportarsi”

“La Provincia di Trento negli ultimi quindici anni ha abbandonato la pratica di diffondere informazioni corrette, ad esempio attraverso una cartellonistica adeguata all’inizio dei sentieri e nelle strutture ricettive. “Negli ultimi mesi le cose stanno migliorando, ma non si fa ancora abbastanza, come non si sta facendo abbastanza per la diffusione di cassonetti anti-orso”

L'articolo Orsi in Trentino, lo zoologo del Wwf Antonelli: “15 anni senza prevenzione. Ecco come comportarsi” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Un orso ferisce un turista francese in Trentino. Il presidente della Provincia Fugatti ordina di abbattere l’esemplare, un’associazione animalista ricorre al Tar e l’abbattimento viene bloccato. Poi il Tar boccia la prima ordinanza e Fugatti ne firma un’altra con la stessa indicazione, e il giro ricomincia. A dimostrazione che la questione della convivenza tra grandi carnivori e uomini in Trentino non è ancora stata risolta.

Ma come siamo arrivati a questo punto? “Siamo in un contesto in cui la popolazione di orsi è aumentata rapidamente negli ultimi vent’anni, arrivano a circa 100-120 esemplari, il 90% dei quali nel Trentino occidentale”, spiega Marco Antonelli, zoologo del Wwf. “La popolazione di orsi non riesce a espandersi su una superficie più vasta perché sono presenti numerose barriere ecologiche tra il Trentino occidentale e le regioni limitrofe”. Spostare alcuni orsi da un’area all’altra è infattibile, secondo l’esperto, perché le popolazioni non accoglierebbero di buon grado l’arrivo dei grandi carnivori e perché non avrebbe senso dal punto di vista biologico: una popolazione satellite “scollegata” da quella principale e senza scambi genetici finirebbe per scomparire.

Mai correre soli al tramonto

Ma allora cosa dovrebbero fare le istituzioni e cosa i cittadini e gli escursionisti? “Dal punto di vista individuale”, spiega Marco Antonelli, dovremmo cambiare le nostre abitudini. Ad esempio, sarebbe meglio non percorre i sentieri in ore crepuscolari quando la fauna selvatica è più attiva. Inoltre sarebbe meglio sempre andare in gruppo o almeno in due persone, perché anche parlare, segnalando così la propria presenza, fa generalmente allontanare l’orso: bisogna assolutamente ricordare infatti che questi casi tecnicamente non sono ‘attacchi predatori’, come spesso vengono erroneamente definiti, ma azioni difensive di animali in preda alla paura”.

Molto, ovviamente, è ciò che spetta alle istituzioni. In primo luogo, preparare la popolazione in maniera adeguata alla presenza stabile degli orsi. “La Provincia di Trento negli ultimi quindici anni ha abbandonato la pratica di diffondere informazioni corrette, ad esempio attraverso una cartellonistica adeguata all’inizio dei sentieri e nelle strutture ricettive”, spiega Antonelli. “Negli ultimi mesi le cose stanno migliorando, ma non si fa ancora abbastanza, come non si sta facendo abbastanza per la diffusione di cassonetti anti-orso. Dovremmo prendere spunto da quanto si fa in altri Paesi, a partire dai grandi parchi americani”.

Perché radiocollari e app non servirebbero

Chiudere i sentieri servirebbe? Oppure segnalare con una app la presenza degli orsi dotando questi ultimi di radiocollari? “Più che chiudere i sentieri, andrebbe segnalata la presenza di femmine di orso con i piccoli attraverso dei cartelli. C’è una pagina web della Provincia dedicata alla segnalazione di orsi con cuccioli, ma non è sempre aggiornata ed è poco accessibile per chi va in montagna”. Quanto alla app, invece, sarebbe assolutamente deleteria, perché la localizzazione degli orsi accessibile a tutti favorirebbe il bracconaggio e le azioni illegali.

Una soluzione che il WWF sta proponendo da tempo e che potrebbe aumentare il senso di sicurezza è invece quella della legalizzazione dell’utilizzo del ‘bear spray’ (o spray anti-orso al peperoncino, dispositivo ben diverso dal normale spray per la difesa personale in commercio). La norma italiana ad oggi lo considera come un’arma, ma occorre invece prendere spunto da ciò che avviene ad esempio in Nord America, dove questo strumento si è rivelato un utile strumento. “La legalizzazione del commercio di questo dispositivo, sottolinea Antonelli, ovviamente deve avvenire con alcune attenzioni, come ad esempio l’obbligo di un breve corso su come utilizzarlo, nonché la previa iscrizione di chi lo acquista ad un apposito registro”.

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