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Kamala Harris è la persona giusta per battere Trump? I dubbi sono diversi…

Il ritiro di Joe Biden apre la corsa a una sostituzione che appare comunque tardiva e l’endorsement alla sua vicepresidente, Kamala Harris, probabilmente dettato dalla necessità di non perdere i fondi elettorali, non sembra in grado di rovesciare le sorti

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Il ritiro di Joe Biden apre la corsa a una sostituzione che appare comunque tardiva e l’endorsement alla sua vicepresidente, Kamala Harris, probabilmente dettato dalla necessità di non perdere i fondi elettorali, non sembra in grado di rovesciare le sorti delle prossime presidenziali e quindi di convincere del tutto un partito democratico diviso e in forte crisi di identità. Anche se Harris ha già ricevuto la benedizione di molti esponenti dem di primo piano (ma non quella di Barak Obama e Nancy Pelosi), gli ultimi sondaggi dicono che solo il 38,6% degli elettori dem approva la sua candidatura, appena lo 0,1% in più di quanti avevano approvato la ricandidatura di Biden.

Lei si dice onorata e chiama all’unità e alla mobilitazione tutti i democratici “per vincere queste elezioni che non saranno normali” e pare mediti di presentarsi alla Convention che il 19 agosto dovrà decidere la nomination in ticket con il governatore della California Josh Sapiro.

Figlia di immigrati ma della buona società, la madre ricercatrice indiana e il padre economista giamaicano, entrambi attivi in politica, fin da ragazza Kamala è stata circondata da intellettuali e attivisti per i diritti civili e ha cercato di seguire l’esempio con l’ambizione di farsi strada nel mondo della giustizia.

Ha mutato più volte la sua immagine: da procuratrice dura contro il crimine (a San Francisco si vantò di aver portato in tre anni la percentuale di condanne dal 53 al 67% e si schierò a favore di una legge che prevedeva il carcere per i genitori dei figli che saltavano abitualmente la scuola, mentre da procuratrice generale della California si oppose alla scarcerazione anticipata dei detenuti condannati per crimini non violenti), a politica molto impegnata per i diritti civili, a cominciare da quelli delle persone Lgbt e dalla battaglia a favore della libertà di scelta delle donne sull’aborto.

Kamala, dicono le sue biografie, ha sfruttato la sua grinta e i suoi successi in campo giudiziario per fare carriera in politica (eletta in senato nel 2016 nella stessa tornata elettorale in cui Trump diventò presidente, prima vicepresidente di colore nel 2021) ma finora non è riuscita a darsi un profilo sufficientemente convincente e autorevole, rimanendo una figura poco popolare e deludendo le aspettative e le speranze che all’inizio molti elettori avevano riposto su di lei. 

I dubbi sul fatto che possa essere lei la candidata giusta sono diversi: il basso indice di popolarità, i pessimi risultati incassati quando mel 2020 provò a candidarsi alle primarie dem fuori dal suo stato (la California), il basso profilo tenuto durante tutta la vicepresidenza, le difficoltà che potrebbe avere in quanto donna nera a conquistare il consenso degli elettori bianchi della classe media e della classe operaia in alcuni stati decisivi, come Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Le cronache dicono che lo stesso Biden avrebbe esitato a gettare la spugna perché non la riteneva in grado di battere Trump.

Fatto sta che sulla Convention d’agosto continua ad aleggiare la figura pop di Michelle Obama, l’unica che i sondaggi danno vincente contro il tycoon, ma che finora si sarebbe sempre rifiutata di accettare la candidatura, oltre che per le difficoltà di inserimento nella complicata macchina politico-elettorale dei democratici. 

Questo senza considerare i mutamenti profondi avvenuti negli ultimi anni nella società Usa, oggi sempre più spaccata a metà, con sensibilità enormemente differenti tra le città e l’America profonda, con partiti e un elettorato non più riconducibili alle vecchie categorie del passato. Tanto che politicamente si può dire che Trump rappresenti oggi la rivolta dei bianchi (sia dei ceti popolari che della middle class, entrambi espropriati della loro supremazia sociale e impoverite economicamente dalla globalizzazione selvaggia), contro l’établissement, oltre che la riscossa dei “bifolchi” dell’America profonda contro le élite e gli immigrati. Mentre i democratici appaiono sempre più, come si dice spesso in Italia del Pd, il partito delle Ztl, degli strati più garantiti e anziani della popolazione. 

Un terreno su cui la Harris faticherà a cogliere consensi, considerando le sue posizioni favorevoli alla politica economica dell’amministrazione Biden, sull’immigrazione e la società multietnica. C’è poi una parte consistente dell’elettorato americano, soprattutto giovanile, che è molto sensibile ai temi della pace, contrario alla guerra Usa-Russia per interposta Ucraina e ostile al sostegno dato da Biden a Israele per distruggere Gaza. Un elettorato che faticherà a vedere in Kamala Harris la novità. Sull’Ucraina la vicepresidente ha mantenuto una posizione molto netta a sostegno di Kiev e a favore della campagna militare, e anche su Gaza, pur criticando i massacri di civili e sostenendo la posizione due popoli due stati, non ha mai preso le distanze da Israele. Più convincente è apparsa invece sull’aborto, nel sostegno alle leggi tese a limitare la vendita e l’uso delle armi e a favore delle leggi sulla riconversione ecologica. 

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