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Fa una strage in una casa di riposo di un paese croato a 130 km da Zagabria: sei morti, quattro feriti gravi

Fa una strage in una casa di riposo di un paese croato a 130 km da Zagabria: sei morti, quattro feriti gravi

foto da Quotidiani locali

ZAGABRIA. «Vado a sbrigare una faccenda e torno». Krešimir Pahoki (51 anni), veterano di guerra e poliziotto militare in pensione, ha salutato così ieri mattina gli altri avventori di un bar di Daruvar, dopo aver loro offerto da bere e prima di andare a compiere una strage. Alle 10.10 di ieri, Pahoki è entrato nella casa di riposo “Vianey”, in questo paesino a 130 chilometri a est di Zagabria, e ha fatto fuoco ripetutamente.

Ha ucciso cinque persone, tra cui sua madre e una dipendente dell’ospizio, mentre un’altra persona è deceduta poco dopo nell’ospedale della vicina Virovitica. Sei i feriti, tra cui quattro gravi, tutti colpiti al petto o al volto e trasportati al pronto soccorso di Pakrac. Dopo la sparatoria, Pahoki è tornato al bar e ha ordinato da bere senza scomporsi. La polizia lo ha arrestato poco dopo sempre al bar, senza che lui opponesse resistenza.

«Siamo tutti sotto shock. La nostra è una città pacifica», ha commentato Damir Lneniček, il sindaco di Daruvar, un comune di 10 mila abitanti, «è difficile per me capire come questo sia potuto accadere nella nostra città, nel nostro stato. L’inchiesta stabilirà quale è stato il movente». Sulla vicenda, senza precedenti in Croazia, sono intervenute ieri pomeriggio anche le massime cariche dello Stato.

Il Primo ministro Andrej Plenković si è detto «sconvolto». «Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime e auspichiamo la guarigione dei feriti. Mi aspetto che le autorità competenti accertino tutte le circostanze di questo delitto mostruoso», ha detto il premier. Diversi ministri si sono recati subito sul luogo della tragedia, anche per assicurare il trasferimento degli altri 12 clienti di questa casa di riposo privata, la cui direttrice è finita in ospedale in stato di shock.

Il presidente Zoran Milanović, anche lui «scioccato da un crimine feroce e senza precedenti», ha invitato le istituzioni competenti a «fare di più per prevenire la violenza nella società, compreso un controllo ancora più rigoroso sul possesso di armi». La pistola usata nella strage non era stata dichiarata. Un elemento che sicuramente riaprirà il dibattito sul numero di armi illegalmente possedute in Croazia (e nel resto dei Balcani) a quasi trent’anni di distanza dalla fine delle guerra degli anni Novanta.

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L’autore della strage era invece già noto alla polizia per comportamenti violenti, compiuti di solito in stato di ubriachezza. Un mese fa – scrive il portale locale MojPortal. hr – Krešimir Pahoki aveva gettato a terra un conoscente sulla scalinata di fronte ad un negozio. Pahoki gli avrebbe anche infilato la pistola in bocca, minacciandolo. L’aggredito è poi finito in ospedale. «Prima era un ragazzo ok, faceva il poliziotto militare in servizio a Zagabria. Ma da quando è andato in pensione, l’alcol ha avuto il sopravvento», ha detto a MojPortal.hr un residente di Daruvar.

Nonostante questi precedenti, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marin Piletić, recatosi sul luogo del massacro, ha rivelato che «tra il colpevole e la madre non c’erano stati problemi, come abbiamo appreso dalla direttrice della casa di riposo».

La madre risiedeva nella casa di riposo da circa dieci anni. Sempre da dieci anni, rivela la stampa locale, Krešimir Pahoki aveva l’abitudine di bere ogni giorno una birra seduto sui gradini all’ingresso di un piccolo negozio, proprio dove un mese fa aveva aggredito il conoscente. Nel 1996, era stato insignito del Memoriale della gratitudine della patria per il servizio svolto durante la guerra.

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