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Fatah e Hamas si accordano per un governo di riconciliazione per il dopo Gaza: l’ira di Netanyahu

 Alla vigilia del discorso di Benyamin Netanyahu al Congresso Usa, Hamas e Fatah hanno siglato, sotto gli auspici della Cina, un’intesa per «un governo di riconciliazione nazionale ad interim» a Gaza nel dopoguerra.

Una mossa il cui solo annuncio ha riportato a galla uno dei punti – il futuro assetto politico della Striscia – di maggiore disaccordo tra il premier israeliano e l’amministrazione di Joe Biden. Tanto da suscitare subito il fuoco di sbarramento da parte di Israele, secondo cui l’intesa di Pechino ha rivelato «la vera faccia» del presidente palestinese Abu Mazen.

Hamas ha rivendicato l’accordo con le altre fazioni palestinesi come un passo importante per centrare «l’unità nazionale», anche con i rivali di Fatah. Mussa Abu Marzuk, esponente di spicco della fazione islamica, ha sostenuto che con la Dichiarazione di Pechino è stato firmato «un accordo per l’unità nazionale». «Ci impegniamo per perseguirla e – ha insistito – la chiediamo». Ora si tratta di vedere se l’accordo avrà applicazione reale: non è infatti la prima volta che le fazioni palestinesi, nel corso degli anni, hanno annunciato di aver raggiunto un’intesa che poi non si è mai concretizzata o è naufragata davanti alle difficoltà proprio su Gaza.

«Invece di respingere il terrorismo – ha tuonato il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz, fedele alleato di Netanyahu – Mahmoud Abbas (Abu Mazen, ndr) abbraccia gli assassini e gli stupratori di Hamas, rivelando la sua vera faccia. In realtà, questo non avverrà perché il governo di Hamas sarà annientato e Abbas vedrà Gaza da lontano. La sicurezza di Israele resterà solo in mani israeliane».

Quello della sicurezza, secondo i media, sarà uno dei temi dell’intervento del premier al Congresso, oltre la difesa a spada tratta della fondatezza della guerra a Gaza, della necessità della vittoria totale su Hamas, della liberazione degli ostaggi (tra cui anche alcuni cittadini Usa) e del pericolo Iran, perno «dell’asse del male». Netanyahu a Capitol Hill si farà forte anche della decisione di aver inviato una delegazione israeliana ai negoziati che riprendono giovedì a Doha per un nuovo cessate il fuoco a Gaza. «Le condizioni per liberare gli ostaggi a Gaza stanno maturando», ha detto Bibi, e «questo si deve alla fortissima pressione esercitata su Hamas da Israele. Credo – ha proseguito – che se continuiamo così potremo raggiungere un accordo».

Non a caso Netanyahu ha portato con sè a Washington famiglie dei rapiti e anche ex ostaggi come Noa Argamani, la ragazza liberata da un blitz dell’Idf poche settimane fa. Che, tuttavia, non ha esitato a ricordare al premier che «gli ostaggi vanno liberati adesso. Non voglio entrare in un dibattito politico ma stanno soffrendo e morendo lì. Dobbiamo riportarli indietro il prima possibile».

In serata Donald Trump ha annunciato che riceverà il premier israeliano domani in Florida, insolitamente prima quindi che Netanyahu veda il presidente in carica Joe Biden e la sua vice Kamala Harris: con loro l’appuntamento è fissato solo per giovedì o addirittura venerdì mattina. «Sono lieto di ricevere Bibi a Mar-a-Lago domani. Durante il mio primo mandato avevamo pace e stabilità nell’area. E l’avremo ancora», ha scritto su Truth l’ex presidente, con cui Netanyahu ha molto più feeling rispetto all’amministrazione dem.

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