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«È inutile fare un referendum sull’autonomia»



Il segretario della Cisl Luigi Sbarra rivendica la posizione contro la raccolta firme di Cgil e Uil, sempre più «partiti» antigoverno, sulla materia regionale. E annuncia: «sul contratto del pubblico impiego non accetteremo i loro diktat».


C'è, da un lato, il rifiuto della battaglia ormai spuntata per una legge sul salario minimo o dell’esposizione fortemente «politica» su questioni come l’autonomia regionale differenziata. E c’è, dall’altro, la concretezza dell’impegno per il contratto del pubblico impiego. Il segretario della Cisl Luigi Sbarra tiene ad affermare l’indipendenza di giudizio (e di azione) della propria confederazione rispetto a Cgil e Uil.

Segretario, le altre sigle annunciano nuove manifestazioni di protesta e un autunno caldo. Il suo sindacato che posizione assumerà?

Non abbiamo mai annunciato mobilitazioni preventive. La Cisl non ha pregiudizi ideologici e si confronterà come sempre senza fare sconti a nessuno. Sappiamo che ci attendono scelte finanziarie difficili. Le nuove regole di bilancio introdotte con la riforma del Patto di stabilità europeo impongono ai Paesi oggi in infrazione, come il nostro, di presentare entro il 20 settembre un piano pluriennale di riforme e investimenti sulla base delle linee della Commissione. Per questo abbiamo chiesto al governo di condividere gli interventi da adottare. Siamo pronti al dialogo, ma dev’essere chiaro che senza risposte non ce ne staremo immobili.

Quali sono oggi le vostre priorità?

Prima fra tutte la conferma della riduzione del cuneo fiscale per le fasce medio-popolari e dell’accorpamento delle prime due aliquote Irpef. Occorre dare continuità alla defiscalizzazione sui buoni frutti della contrattazione decentrata, a partire da «fringe benefit», premi di risultato, accordi di produttività e welfare negoziato. Bisogna chiudere i contratti pubblici e sostenere il rinnovo di quelli privati. Così come va assicurata la piena indicizzazione delle pensioni e, più in generale, riavviato il confronto sulla previdenza.

La questione salariale è di stretta attualità. Ci sono passi avanti?

Il problema dei salari italiani dipende da fattori quali una crescita quasi sempre vicina allo zero, gli investimenti al palo, la bassa produttività delle aziende, i ritardi nei rinnovi di alcuni contratti che in certi casi non si sottoscrivono da oltre 10 anni. Il salario non è una variabile indipendente dell’economia come qualcuno si ostina ad affermare anche dentro il sindacato. Non basta un tratto di penna in Gazzetta Ufficiale. Bisogna parlare il linguaggio della realtà. Bisogna incentivare ed estendere la contrattazione decentrata ai settori ancora scoperti, prevedere meccanismi di premio e sanzioni per assicurare rinnovi tempestivi allo scadere di un contratto nazionale, rafforzare il legame tra stipendio e produttività attraverso modelli di maggiore partecipazione.

Riguardo ai rinnovi, c’è quello del pubblico impiego: Cgil e Uil hanno polemizzato anche in questo caso con il governo Meloni. Gli 8 miliardi messi sul piatto sembrano pochi anche a voi?

La trattativa è in una fase cruciale. È chiaro che il quadro delle risorse è quello della scorsa manovra: una dotazione importante per avviare i rinnovi. Noi pensiamo che ci siano le condizioni per capitalizzare queste potenzialità e fare un buon contratto unitario in tutti i comparti pubblici. Il che significa avanzamenti, non solo sul piano del recupero salariale, ma anche nell’organizzazione del lavoro, nel welfare contrattato, nell’innovazione e nella formazione.

Cgil e Uil, però, stanno già alzando le barricate…

Una cosa è certa: la Cisl non accetterà veti o presunte egemonie da parte di nessuno.

Si va verso una firma separata?

Mi auguro di no. Ma non dipende certo da noi.

A proposito di firme, la Cgil le sta raccogliendo per i referendum. Prima quello contro il Jobs Act, adesso contro la legge sull’autonomia regionale differenziata. Si tratta più di un sindacato o di un partito?

Questo referendum, ammesso che raggiunga il quorum, non cambierà di una virgola il Titolo quinto e l’autonomia delle Regioni garantita da norme costituzionali del 200, varate peraltro da governi di centrosinistra. Ciò inteso, noi diciamo che qualsiasi riforma dell’autonomia deve avere l’imperativo di rafforzare la coesione del Paese. Bisogna definire in via preliminare - e finanziare - i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni. E va costituito un fondo di perequazione nazionale per sostenere le Regioni in difficoltà.

Del sindacato si sottolinea un evidente calo degli iscritti negli ultimi anni.

Per quanto ci riguarda, la Cisl ha registrato lo scorso anno un aumento di iscrizioni generalizzato su tutto il territorio nazionale: 53 mila iscritti in più tra i lavoratori attivi, oltre centomila nell’ultimo triennio e aumenta ogni anno il numero di persone che si rivolge al nostro sistema di servizi. È la conferma, questa, di come la linea della Cisl, riformista e autonoma dalla politica, venga apprezzata.

Si è acuito lo strappo tra i due fronti sindacali. Voi più dialoganti con il governo e Cgil e Uil in netta opposizione.

Noi siamo sempre pronti a discutere di unità se c’è chiarezza sugli obiettivi dell’azione sindacale. In questi ultimi tre anni ci ha divisi una diversa concezione sul ruolo della rappresentanza e soprattutto la valutazione dei risultati ottenuti sia nei tavoli di confronto, sia attraverso le fasi di mobilitazione. Il nostro spirito è stato e rimarrà: proposta e confronto sempre, la protesta quando serve. Non il contrario.

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