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La notte violenta nel carcere maschile di Venezia: in quattro devastano tavoli e pc

Le sbarre di ferro le avrebbero ricavate dalle loro brande, con quelle sono riusciti a tenere alla larga gli agenti di polizia penitenziaria e a prendere possesso della “rotonda”, l’area di collegamento tra il braccio destro e sinistro del carcere. Da due sono diventati quattro e per tutta la notte hanno devastato vetri, scrivanie, computer, mobilio, causando qualche piccolo allagamento a colpi di estintore e riempiendo anche di fumo i corridoi, dopo aver dato fuoco a fogli e lenzuola.

La situazione è rientrata solo dopo le otto del mattino, ma l’ennesimo episodio di alta tensione a Santa Maria Maggiore torna a sollevare il problema del sovraffollamento carcerario e della contestuale carenza di personale di sorveglianza.

Scoppiata martedì notte, la protesta che ha interessato la casa circondariale di Venezia ha visto come iniziatori due detenuti tunisini: uno dei due si era visto respingere la richiesta di trasferimento; assieme a un connazionale ha scatenato un piccolo putiferio, facendosi portare in infermeria con un pretesto, senza però riuscire a coinvolgere altri se non due ulteriori nordafricani. Nessuno è rimasto ferito, neanche tra gli uomini della Penitenziaria, che hanno contenuto la situazione senza ricorrere all’uso della forza, pur dovendo richiamare in servizio anche degli agenti che in quel momento non si trovavano in carcere.

La conferma del garante dei detenuti

«Quanto accaduto si va a sommare ai recenti episodi di suicidio, a conferma di una stagione difficile per il carcere lagunare», conferma il garante dei detenuti, l’avvocato Marco Foffano, ieri accorso a Santa Maria Maggiore per raccogliere i dettagli dello scontro, «D’altronde ce lo dicono i numeri: a fronte di 160 posti di capacità, la casa circondariale ospita oggi 257 persone. E, all’opposto, il personale in servizio non basta mai: anche i 15 nuovi agenti arrivano dopo 10 trasferimenti, di fatto spostando di poco il totale. E alla Giudecca, al femminile, è quasi lo stesso». Per Foffano è «indispensabile ragionare su soluzioni reali, senza escludere a priori il ricorso all’indulto. E poi, a lungo termine, bisogna insistere sui regimi alternativi e in particolare sul lavoro, il vero mezzo di reintegro nella società».

Le dichiarazioni del Sappe

Per Donato Capece, segretario generale del Sappe, «la situazione al carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia è allarmante anche perché anche nelle scorse settimane altri agenti penitenziari nel Triveneto hanno subito aggressioni da parte della popolazione detenuta». «La storia si ripete», incalza Ivan Bernini segretario generale della Fp Cgil di Venezia, «è grazie alla professionalità e al senso di grande equilibrio degli agenti in servizio se quanto accaduto è stato limitato a pochi soggetti. Una situazione che non è affatto degenerata, che ha visto gli agenti seguire i protocolli e rassicurare cella per cella tutti gli altri detenuti che, quando hanno visto il fumo, si sono comprensibilmente preoccupati. Ma a tutela di quei lavoratori non bastano più solo i plausi perché le loro condizioni di lavoro aumentano di molto i rischi».

«Il sovraffollamento è sempre più critico e si continua a non scendere sotto la soglia dei 250 detenuti», continua Franca Vanto, sempre dal sindacato, «Non parliamo di una situazione di qualche mese ma di anni. In queste giornate di gran caldo, peraltro, l’ambiente interno è soffocante sia per i detenuti che per gli agenti. E ci pare che di fronte ad un vero e proprio problema di salute e sicurezza non ci si possa più girare dall’altra parte rinviando qualsiasi intervento».

La carenza di personale

«A ciò fa da contraltare la penuria degli organici della polizia penitenziaria, mancanti di 18 mila operatori a livello nazionale e di un centinaio di unità a Venezia, su 145 presenti», ribadisce Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa, «In queste condizioni, senza reali protocolli d'intervento operativo su cui si sia stati formati, con equipaggiamenti inadeguati e con la spada di Damocle della denuncia per tortura a ogni intervento di legalità, è davvero proibitivo operare».

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