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Lo scienziato: «Cozze e altre specie autoctone messe a rischio da questo clima»

Lo scienziato: «Cozze e altre specie autoctone messe a rischio da questo clima»

foto da Quotidiani locali

Alberto Barausse, professore associato di Ecologia all’Università di Padova, questi livelli di temperatura, per i nostri mari, sono preoccupanti?

«Si tratta di temperature eccezionali, che osserviamo ormai da un paio di settimane. Ondate di calore che mettono in pericolo gli ecosistemi marini, perché non lasciano agli organismi il tempo per rifiatare. Soprattutto, non lo lasciano agli organismi che vivono nelle acque più basse e che non si possono muovere altrove».

Ad esempio, quali?
«Ad esempio, le cozze, che non hanno la possibilità di spostarsi verso acque più fresche. Di giorno, con la fotosintesi, l’acqua si riempie di ossigeno, per poi svuotarsi la notte, quando l’acqua è più calda. Eppure, è proprio quando l’acqua è più calda che gli organismi avrebbero maggiore bisogno di ossigeno».

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C’è anche da dire che importanti sbalzi di temperatura, all’interno dello stesso mare, complicano il rimescolamento delle acque. E, di conseguenza, ostacolano pure l’arrivo in superficie dei nutrienti che normalmente si trovano nelle acque più profonde...

«Sui fondali marini, dove non arriva la luce, l’ossigeno arriva per rimescolamento. Ma è chiaro che, se questo viene prodotto vicino all’aria e l’acqua non si mescola, allora non arriva in profondità e le specie che vivono in quelle acque vanno in sofferenza. E poi, quando l’acqua rimane stratificata per molto tempo, i nutrienti finiscono. E i fondali dell’Adriatico sono ricchi di nutrienti. Si tratta di un rischio sul quale i rapporti Ipcc sul cambiamento climatico mettono in guardia da anni: c’è il pericolo che diminuisca la produttività degli oceani».

Insomma, ci preoccupiamo tanto per il granchio blu, che mette a repentaglio la sopravvivenza di cozze e vongole, quando in realtà non è il solo responsabile del rischio della loro estinzione...

«Esatto. Peraltro, proprio il granchio blu potrebbe essersi affacciato nei nostri mari come conseguenza del cambiamento del clima. Esistono specie che amano l’acqua calda e, per questo, si stanno spostando verso l’Adriatico. Ma il nostro è un mare chiuso a Nord, quindi il travaso contrario, delle specie che prediligono le temperature più basse, non è possibile».

Sono specie a rischio estinzione?

«All’innalzarsi delle temperature, le specie che possono muoversi cercano rifugio nelle acque più profonde. Ma è chiaro che, se queste ondate di calore diventano più lunghe e frequenti, anche questi ripari diventano sempre meno raggiungibili. E, di conseguenza, cambiano pure la mortalità degli organismi, il loro comportamento e la loro distribuzione».

In alcuni punti dell’Alto Adriatico, la temperatura è prossima ai 30 gradi. Di quanto è superiore al normale?
«Negli ultimi 40 anni, la temperatura media è aumentata di un grado e mezzo. Non sembra molto, ma in realtà è un’enormità. Va detto, poi, che non è cresciuta in maniera uniforme, ma a “gradini”, e questa è una caratteristica degli ecosistemi marini. In questo momento, poi, siamo di diversi gradi sopra la media».

Sono più preoccupanti le ondate di calore o l’aumento della temperatura media?

«Lo sono entrambi. Noi siamo abituati a pensare all’innalzamento del livello del mare come effetto del cambiamento climatico, per cui a Venezia abbiamo costruito il Mose, e all’aumento della temperatura media. Ma le ondate di calore sono l’altro volto del cambiamento climatico. E a uccidere gli organismi non è tanto l’aumento della temperatura media, quanto questi eventi estremi, la cui frequenza è aumentata nettamente negli ultimi decenni».

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