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Peste suina, 16 allevamenti della provincia di Pavia chiedono i danni alla Regione Lombardia

Peste suina, 16 allevamenti della provincia di Pavia chiedono i danni alla Regione Lombardia

foto da Quotidiani locali

ZINASCO. Sono pronti a fare causa a Regione Lombardia 16 allevamenti suinicoli del Pavese, messi in ginocchio dalla peste suina africana. Allevamenti costretti a subire le rigide regole previste nei 186 Comuni che ancora oggi si trovano nelle zone di Restrizione I e II: dal divieto di movimentazione dei suini all’obbligo di portarli in macelli designati. E costretti a fare i conti con la pesante riduzione del costo della carne, ben il 50% in meno rispetto al prezzo di mercato per le aziende che si trovano in zona II e il 30% per quelle in zona I. Da qui la richiesta di risarcimento a Regione Lombardia, responsabile della gestione degli animali selvatici.

FAUNA SELVATICA

Perché sono i cinghiali il principale vettore di diffusione del virus. In base alla legge numero 968 del 27 dicembre 1977, la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni. È quindi indirizzato a Palazzo Lombardia l’atto di citazione preparato dall’avvocato Paolo Ramaioli, il legale a cui si sono rivolti alcuni allevatori. «Una situazione paradossale – spiegano-. A diffondere il virus sono i cinghiali. Le aziende hanno adottato tutte le misure di biosicurezza necessarie. Gli allevamenti hanno subito un danno abnorme per l’abbattimento di migliaia di capi, per gli ingenti costi sostenuti per adeguarsi alle restrittive disposizioni regionali, per l’attuale valore di mercato estremamente basso della carne suina proveniente dalle zone di restrizione, senza dimenticare le limitazioni della lavorazione della materia prima che pongono la produzione in una situazione di estromissione dal mercato nazionale e internazionale».

OLTRE GLI INDENNIZZI
Da qui la richiesta danni. Danni ulteriori, non contemplati dai ristori che entro fine mese dovranno arrivare a 60 allevatori. L’indice è puntato sulla Regione che, dopo i primi casi di Psa registrati in Piemonte nel 2022, «si limitava a mettere in atto solo un’azione di osservazione della fauna selvatica». Azione che non ha consentito di evitare che il contagio arrivasse in Lombardia. Il primo caso infatti viene individuato in provincia di Pavia nel giugno 2023. «Il semplice monitoraggio si è dimostrato inadatto a contrastare un’epidemia di tale portata, nonostante vi fosse stato il tempo (quasi un anno) per evitare che il territorio venisse infettato - si legge nell’atto di citazione -. Di fatto, solo nel momento in cui il virus della peste suina penetra nel territorio, la Regione Lombardia attua i primi provvedimenti, oramai, alla luce dell’alta carica infettiva del virus, tardivi. Le gravosissime misure adottate dopo il primo caso di Psa hanno interessato principalmente il settore suinicolo domestico con abnormi danni allo stesso». Tra i provvedimenti l’abbattimento di circa 40mila suini sani. Le autorità, così come previsto dalle direttive della Commissione Europea, suddividono l’intera provincia in quattro aree. Una suddivisione differente e contraria rispetto alla modalità di delimitazione in Europa, non incentrata su un concetto di confine politico, ma di area territoriale di interesse. Stefania Prato

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