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Mittelfest chiude con l’ospizio Paradiž

Mittelfest chiude con l’ospizio Paradiž

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Slovenia, Croazia, Polonia, Bielorussia, Ucraina, Estonia, Lituania, Russia. Aggiungiamoci pure l'Etiopia. In ciascuno di questi Paesi, in poco più un decennio, Matteo Spiazzi - veronese, 37 anni - ha creato uno spettacolo. E alcune delle sue creazioni sono ancora in repertorio, con più di cento repliche.

Quella più recente, realizzata per il Teatro Nazionale Sloveno di Celje, sarà ospite di Mittelfest, a Cividale, nella giornata conclusiva (Teatro Ristori, oggi alle 19, poi, a novembre anche nel cartellone dello Stabile Sloveno di Trieste).

Si intitola “Paradiž” ed è l'originale punto di vista che Spiazzi ci dà su una giornata in una casa di riposo per anziani. A momenti commuove, e apre il varco alla lacrima. A momenti riesce a far ridere a crepapelle. È umoristico e grottesco. Ma è pure una fotografia ben messa a fuoco: almeno agli occhi di chi, per un genitore anziano, una zia malata, un nonno con l'Alzheimer, quel mondo a parte lo ha frequentato.

“Paradiž”, poi, è uno spettacolo senza parole, ma con maschere. Insolite maschere che catturano un particolare, un sentimento, il dettaglio di una vita. Vita la cui una storia che viene raccontata dalla musica.

Scorrendo l'elenco di tutti i Paesi in cui ha lavorato, Matteo Spiazzi sembra incarnare davvero l'ideale di un teatro mitteleuropeo. Mai avuta la tentazione tornare in Italia?

«Eccome. Ma non mi riesce, o almeno non trovo le condizioni giuste. Sono oramai sintonizzato sui modelli teatrali di quei Paesi là, per molti versi diversi dal quello italiano. Là il teatro fa parte della vita quotidiana, racconta il presente, è frequentato da tutte le generazioni. In Italia puoi imbatterti in persone di venti, trenta, quarant'anni che a teatro non ci hanno messo mai piede O peggio ancora, lo hanno dovuto subire al tempo della scuola. Tutto un altro mondo».

Infatti in Italia assomiglia a un mausoleo. Però scegliere la vecchiaia, un'eta fragile, una casa di riposo, e metterle al centro di uno spettacolo, ricalca pure quel processo di senilità sociale che coinvolge l'Occidente europeo.

«Uno spettacolo come questo, che rinuncia all'uso parola e sceglie la maschera come strumento d'espressione, ha bisogno situarsi di luogo preciso, reclama un ambiente. Ne ho creati tanti negli spettacoli precedenti: una camera d'hotel, per esempio, o l'ufficio di un funzionario sovietico. Questa volta ne ho scelto uno ancora diverso, una casa per anziani».

Dove i gesti di undici attori e la musica sostituiscono le parole.

«Non è proprio così, anzi. “Paradiž” non è affatto una pantomima, un esercizio per mimi alla Marcel Marceau, tanto per intenderci. Me ne tengo lontano: io non elimino le parole per lasciar parlare i gesti. Per me è invece il luogo che deve dialogare con i personaggi e con la musica. La drammaturgia nasce da questa triangolazione. E affinché sia efficace sostituisco al volto degli attori – che perlopiù sono giovani - proprio le maschere».

Il punto di forza visivo di questo spettacolo.

«È una tecnica che deriva dalla mia formazione, in Commedia dell'Arte, che ha preso avvio all'Accademia Nico Pepe di Udine. La maschera costringe anche lo spettatore a trasferirsi in un mondo parallelo, anti-realistico, espressionista. Tanto più se si tratta di una maschera intera, non di una 'mezza maschera' come quella tradizionale, degli Arlecchini, dei Pulcinella».

Parliamo allora di queste maschere speciali e della loro grottesca espressività.

«Le ha ideate una scultrice e mascheraia bravissima, Alessandra Faienza. Con lei collaboro da un po' di tempo. Una volta create, bisogna farle funzionare. Perché è solo vista da una certa distanza, quella dello spettatore, che la maschera acquista un valore simbolico ed espressivo. Alessandra ha adottato il worbla al posto della pelle della tradizione comica, o della cartapesta».

Worbla? Sarebbe? Internet dice che si tratta di 'materiale termoplastico modellabile a caldo'.

«È un materiale recente, lavorabile. Nella sua versatilità sembra prendere vita. Una scelta vincente, direi, vista la risposta del pubblico. E sentito pure il parere dei giudici del Gran Prix Kerempuh a Zagabria, che hanno voluto premiare proprio “Paradiž”».

Torna quel mondo centroeuropeo da cui eravamo partiti. Le cronache raccontano che Spiazzi, nel febbraio 2022, si trovava in teatro, a Kiev, proprio nel giorno dell'invasione russa. Momento pericoloso, a cui è seguito un avventuroso ritorno in Italia.

«Eravamo pronti alla prima dello spettacolo. Al mattino, uno degli attori decide di regalarmi una tipica tazza locale. Gli dico: me la darai dopo il debutto. E lui: se ci sarà un debutto. Insomma il pericolo era nell'aria. Comunque, nella precipitosa fuga dall'albergo di Kiev, ho lasciato là, intenzionalmente, un libro di teatro. E ho tutte le intenzioni di tornare a riprenderlo».

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