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Laboratorio di Biologia molecolare di Cambridge: i segreti di un lungo successo

TRIESTE Se c’è un luogo iconico della ricerca del ventesimo secolo questo è il Laboratory of Molecular Biology (Lmb) di Cambridge, nel Regno Unito. Sin dalla sua fondazione alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, l’Lmb ha prodotto più di una dozzina di vincitori di premi Nobel.

Iniziarono nel 1962 Watson e Crick per la struttura della doppia elica del Dna e Perutz e Kendrew per quella delle proteine. Nello stesso anno si era spostato a Cambridge anche Sanger, che un premio Nobel l’aveva già vinto, nel 1958, per aver scoperto come fosse costituita la molecola dell’insulina, e un secondo premio Nobel l’avrebbe vinto poi, nel 1980, per il lavoro fatto proprio all’Lmb su un metodo per determinare la sequenza del Dna. Poi, nel 1984, fu Milstein a vincere il Nobel per aver scoperto come rendere immortali le cellule che producono gli anticorpi. Gli anticorpi monoclonali ottenuti grazie a lui avrebbero rivoluzionato il mondo della medicina.

Il prestigio dell’Lmb è continuato anche nel nostro secolo. Altri 4 dei suoi scienziati hanno ricevuto il premio Nobel negli ultimi 15 anni: Ramakrishnan, per la struttura dei ribosomi, le macchine molecolari che sintetizzano le proteine nelle nostre cellule; Levitt, per i modelli al computer delle reazioni chimiche; Henderson per le tecniche di microscopia elettronica; e infine Winter per il suo lavoro sull’evoluzione degli anticorpi. Dal 2015 al 2019, più di un terzo delle pubblicazioni scientifiche che provenivano dagli odierni 700 ricercatori dell’Lmb era tra il 10% dei lavori più citati dalla comunità scientifica.

Quale è la chiave per comprendere questo straordinario successo e quale la ricetta, per un istituto, per diventare leader mondiale nel campo della ricerca biologica di base? Un articolo pubblicato ora su Nature ha posto queste domande a 12 persone senior dell’Lmb attuale e a una serie di opinion leader esterni, oltre ad aver analizzato 60 anni di documenti di archivio sulle attività del Laboratorio. La conclusione unanime è che le scoperte fatte all’Lmb non sono state frutto del caso, ma la ricaduta di un ambiente strutturato in maniera tale da favorire l’innovazione.

Almeno cinque sono state le chiavi per aprire al successo. Primo, favorire la diversità. Il senior management dell’Lmb ha sempre incoraggiato lo scambio di conoscenze tra scienziati di provenienza culturale diversa, promuovendone le sinergie. Focalizzare troppo l’attenzione su un obiettivo specifico è controproducente.

Secondo, mantenere un obiettivo globale. L’Lmb ha sempre avuto un interesse proprio in quanto istituzione che sovraintende e guida l’interesse dei singoli ricercatori. Gli scienziati dell’Lmb hanno persino un limite al numero di finanziamenti che possono richiedere da enti esterni, per limitare la dispersione di interessi. Al contrario, è l’Lmb stesso che finanzia progetti interni che privilegiano le interazioni tra i diversi gruppi. Il Laboratorio è più della somma delle sue parti.

Terzo, mantenere uno stile di management non gerarchico. Ciascuno è valutato per i propri meriti scientifici e non per la posizione accademica, e gli incentivi sono elargiti più in funzione degli obiettivi da raggiungere che in virtù di quelli già ottenuti. Questo mantiene alta l’ambizione di mirare a traguardi sempre più alti.

Quarto, promuovere la crescita interna. L’Lmb ha da sempre investito nei propri membri più giovani, facendoli avanzare nella posizione di carriera, più che nel tentativo di reclutare persone esterne già affermate. Diversi dei suoi vincitori di premi Nobel (tra gli ultimi, Henderson e Winter) hanno iniziato le loro carriere proprio all’Lmb. Quinto, mantenere un rapporto equilibrato tra innovazione tecnologica, ricerca investigativa e applicazioni.

Troppa tecnologia non è necessariamente produttiva, e investire troppo nelle applicazioni (in controtendenza con quanto solitamente avviene, dove la società quasi pretende ricadute dalla ricerca) è controproducente. Ad esempio, nel 1996, il Laboratorio ha rinunciato a un progetto economicamente molto profittevole che prevedeva lo scaling up delle tecnologie per produrre proteine e anticorpi.

Grazie ai suoi principi, l’Lmb è rimasto nei decenni una sorta di incubatore straordinario per progetti innovativi, con capacità importante di ri-organizzarsi internamente in un settore, come quello della ricerca biomedica, che ha un turnover velocissimo. Questi principi non sono di interesse soltanto per il mondo accademico, ma anche per qualsiasi ente o istituzione che consideri l’innovazione come parte integrante delle proprie attività, aziende incluse.

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