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Di cene, arte e greggi belanti vi domando: ma non eravamo tutti Charlie?

Dopo la magnifica e pregnante cerimonia d’inaugurazione a Parigi dei Giochi Olimpici 2024, una parte della stampa e dei social sembra aver visto, si badi bene, visto ma non guardato, solo una frazione dell’intera manifestazione.

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di Beatrice Sarzi Amade

Dopo la magnifica e pregnante cerimonia d’inaugurazione a Parigi dei Giochi Olimpici 2024, una parte della stampa e dei social sembra aver visto, si badi bene, visto ma non guardato, solo una frazione dell’intera manifestazione.

Un quadro di pochissimi minuti su quattro ore di spettacolo che definire “superbe”, alla maniera francese, è poco. 

Una manifestazione originale, fuori dai soliti schemi delle inaugurazioni precedenti, costruita in maniera colta e sapiente, una traversata metaforicamente rappresentata dal defilé sulla Senna delle squadre olimpiche dei diversi Paesi, ma in realtà un excursus  nella storia, nell’arte, nella letteratura, nel cinema, nella musica, nella cultura insomma del Paese ospitante, la FRANCIA, attorno ad un unico tema conduttore, 

QUELLO DELL’ INCLUSIONE,  DELL’INTEGRAZIONE, DEL DIALOGO in tutte le sue forme e i suoi modi. 

E non è forse questo il senso delle Olimpiadi, non è forse questo il significato di quei cinque cerchi che si intersecano? Tutta la cerimonia è stata costruita come un film, che, sin dalle prime scene, lega passato e presente, lingue e culture, riattualizzandole in un continuo e ben studiato riferimento ai testi della grande letteratura francese e ai momenti salienti della storia di Francia, a partire dalla scena iniziale, in cui Zidane affida la fiaccola appena giunta a Parigi a tre ragazzini, inequivocabilmente di etnie diverse, che percorrono la Parigi sotterranea, quella delle catacombe e della rete fognante, con evidente riferimento ai Miserables di Victor Hugo (tre Gavroche espressione del meltin pot della Francia odierna, multietnica e multiculturale), al  momento dell’arrivo, in cui il campione olimpico decano Charles Coste affida la fiamma ai due campioni contemporanei, rappresentanti di Paesi diversi, e finalmente la fiamma accende la vasca olimpica che, alla base di una enorme mongolfiera si libra subito sui cieli di Parigi, in un immaginario e simbolico viaggio della fiaccola 

“de la Terre à la lune” (Jules Verne).

Tra questi due momenti un insieme di quadri, di musiche, di coreografie, di scenografie con un unico trait d’union, quello della fiamma olimpica che unisce e include popoli e culture, per cui una star americana pop canta una canzone storica di Zizi Jeanmaire, Aya Nakamura, francese originaria del Mali, canta Formidable di Aznavour, una band metal suona “Ça ira”, il canto dei sanculotti, e la Marianne che intona la “Marseillaise” è una Marianne nera, la soprano francese Axelle Saint Cirel; è l’inclusione, e la fiamma olimpica non dimentica nessuno, 

dalle donne che hanno fatto grande la Francia di ieri e di oggi alle migliaia di operai e tecnici specializzati che da ormai tre anni lavorano, giunti da tutto il mondo, al restauro della cattedrale di Notre-Dame. E in mezzo a tutti questi quadri una figura ricorrente, un tedoforo misterioso, un cavaliere anonimo e senza volto, non semplice trovata scenografica ma anch’egli trait d’union di tempi ed epoche diverse in cui TUTTI possono riconoscersi, sintesi della Maschera di Ferro e del Fantasma del Louvre ma anche riferimento contemporaneo all’eroe del videogioco Assassin’s Creed. E poi tanto altro ancora, l’inno all’amore in tutte le sue espressioni, attraverso i libri della Bibliothèque Richelieu (dai classici ai contemporanei francesi e francofoni) e il meraviglioso conclusivo Hymne à l’Amour di Edith Piaf cantato da una straordinaria Céline Dion, francofona del Canada.

E tra tutte queste meraviglie, qual è l’unica cosa che i detrattori politici di turno hanno visto? O scemi del villaggio? Quale particolare hanno utilizzato per gridare allo scandalo, alla blasfemia, per bruciare la Francia sul rogo degli eretici? 

Ovviamente uno dei quadri finali, quello legato all’interpretazione canora di Philippe Katerine in cui alle spalle del cantante appaiono dei commensali queer. Un noto politico italiano, Salvini cara grazia che lo chiami politico, e non disgraziato, ha subito gridato allo scandalo vedendo quel quadro come la riproduzione irriverente del Cenacolo di Leonardo e pubblicando l’immagine artatamente tagliata. Ne mostra infatti solo la parte superiore, guardandosi bene dal riprodurla per intero, dal far vedere che davanti alla tavola, mollemente disteso nelle vesti di Dioniso c’è il cantante stesso. 

E no, non è una scelta innocente o un taglio inconsapevole, è che così la similitudine con il capolavoro leonardesco è più semplice e all’osservatore superficiale (o ignorante) non possono venire in mente altre opere d’arte, quelle a cui altri invece penserebbero, di altre epoche, conservate in alcuni casi in musei francesi come ad esempio La cena degli Dei di Hendrick van Balen, conservata al Louvre, o ancora il dipinto di un altro fiammingo, Jan Harmensz van Bijlert, sempre del periodo a cavallo tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, anche questo dal titolo Il banchetto degli dei  (Les festin des Dieux), conservato nel Musée Magnin de Dijon. 

Insomma l’autore dei quadri  e delle coreografie del 26 luglio, non aveva bisogno di andare a pescare nel patrimonio artistico italiano per ispirarsi, gli bastava guardare a quello che aveva in patria e probabilmente un Banchetto degli dei dell’Olimpo è molto più aderente al tema delle Olimpiadi rispetto al nostro Cenacolo, o, anche qui la creazione ha sintetizzato ispirazioni artistiche diverse, in chiave trasgressiva ma senza nessun mirato bersaglio religioso. 

La Francia è un PAESE LAICO E COERENTE, lo sappiano e per loro un’opera d’arte è un’opera d’arte al di là delle matrici religiose. 

In Italia qualcuno ha voluto invece sporcare il vero senso dei giochi olimpici, la comunione sportiva che è comunione culturale, e fare di ciò che dovrebbe unire un elemento di divisione, di guerra ideologica. 

Eppure, qualche anno fa non eravate tutti Charlie? 

Quelli che oggi vomitano veleno non sono gli stessi che nel 2014 predicavano la libertà di stampa, di espressione, elogiavano la satira e sostenevano la laicità della Francia? 

Ma certo che sono gli stessi, sono quelli che erano Charlie ma non sapevano neanche cosa fosse Charlie Hebdo, non ne avevano mai neanche cercato un numero su Google, però in quel caso il bersaglio evidente e dichiarato della satira era Maometto, l’Islam e allora tutti questi “signori” erano a favore della satira e della laicità; ora il riferimento, perché qui non c’è satira ma un possibile rimando artistico insieme ad altri, è al cristianesimo e quindi non sostengono più la libertà di espressione (artistica) e la laicità si è trasformata in blasfemia. 

Il guaio è che nel paese Italia, a cui appartengo, ma schivo, si da voce all’ignoranza e alla malafede di uno o di pochi che fa eco ad un gregge di seguaci che o non hanno proprio guardato la cerimonia di inaugurazione o l’hanno guardata senza capirci nulla o cercare di capire, come in realtà non sempre capivano quando erano tutti Charlie. 

E così si è levato un coro di bacchettoni falsi cristiani, quelli che inneggiano al baciarosari e lo acclamano anche quando fa morire i profughi in mare, quelli che del “prossimo tuo” se ne fregano bellamente, soprattutto se è povero e ha un colore della pelle diverso dal nostro, e che si sentono realizzati nel vedere complotti e attacchi ovunque, quelli che si ergono a paladini della nostra arte ma di storia dell’arte non sanno nulla, quelli che vivono il nazionalismo e il campanilismo nel peggiore dei modi (non a caso i francesi usano il termine nombrilisme, da nombril che significa ombelico). 

E così una riscrittura del Banchetto degli dei, dissacratrice semmai contro gli dei dell’Olimpo classico, diventa pretesto per una nuova guerra apparentemente di religione, in realtà politica soprattutto se dall’altra parte c’è la Francia di Macron, quella del Nouveau Front Populaire e la Parigi di Hidalgo, quella Francia multiculturale e multietnica che solo due settimane fa ha dato uno schiaffo sonoro alla Francia razzista e reazionaria di Marine Le Pen.

È questa la Francia di oggi, una Francia multiculturale e che si vuole sempre più inclusiva, che piaccia o no ai sostenitori della Le Pen e agli italiani suoi amici, e il messaggio forte della cerimonia di apertura è proprio quello della multiculturalità e dell’inclusione, della Francia che non è solo l’Hexagone ma un crogiuolo di apporti linguistici e culturali, e dei giochi olimpici che, da sempre sono simbolo di dialogo, confronto, pace e inclusione.

Un ultima nota che si riferisce ad un simbolo da cui tutto è partito: 

il simbolo dei giochi olimpici del 2024 non è un disegnino senza senso, né un cartone animato, ma è la reinterpretazione grafica del berretto frigio, simbolo della Rivoluzione, quel berretto rosso che vediamo sulla testa di Marianne e su quella della Libertà che guida il popolo di Delacroix, il berretto frigio che nell’antichità portavano gli schiavi affrancati e che simboleggiava il loro status di “liberti”. In origine, nella Grecia classica, solo gli uomini, e solo uomini liberi potevano partecipare alle olimpiadi; De Coubertin reintroducendo i giochi olimpici dopo secoli di interruzione, ben presto li aprì anche alla partecipazione delle donne e non pose limitazioni. 

Ecco, i giochi olimpici sono espressione di quella libertà e di quell’unione, al di là di colori, etnie, ideologie e stili di vita, di quell’inclusione che il berretto frigio rappresenta meglio di qualsiasi altro emblema.

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