Maestri dell’arte a Trieste suggestioni originali tra Mitteleuropa e Venezia
TRIESTE. Quali erano le caratteristiche dell’arte triestina del secolo scorso? Guardava un po’ a Est e un po’ a Occidente, mixando tali suggestioni in un mélange unico. A ispirare quei maestri, pittori, scultori, incisori, c’era sempre il grande passato della città con la sua avanguardia mitteleuropea in prima linea, che un tempo si rifletteva nelle storiche Accademie di Monaco, Berlino e Vienna, dove geni come Klee, Kandinskj, Klimt e il suo pupillo Schiele e Kokoschka avevano lasciato un segno indelebile. Dall’altra parte c’era la meravigliosa luce di Venezia e della Scuola veneziana con i suoi gioiosi cromatismi, a partire da Ettore Tito, capostipite di una famiglia di pittori e scultori eccellenti, spentisi di recente con l’ultimo rappresentante, Giuseppe, per gli amici Eppe.
Questo è il sottile filo conduttore che sottende la mostra/evento “I maestri”, che apre martedì alle 18 alla Galleria Rettori Tribbio con le opere di una ventina di artisti tra i più significativi del territorio, alcuni noti a livello internazionale e spesso presenti con più lavori.
Un connubio tra arte, volo, energia e movimento, ai tempi inedito, era il linguaggio sperimentale, segnato dal Futurismo e dall’amicizia con Marinetti, di Tullio Crali, l’ultimo dei futuristi e maestro dell’aeropittura. Che però in mostra compare con un luminoso, inatteso e perciò particolarmente interessante “Blocco di fiori” del ’48, accanto a “Le Cosmiche”, essenziale tecnica mista del ‘70, e al criptico olio “Fantasie del III Millennio”.
Ugo Flumiani, maestro tra i più apprezzati a Trieste per le vedute marine e allievo di Gugliemo Ciardi, pioniere del verismo veneziano, è testimoniato da un importante olio di grandi dimensioni; Leonor Fini mostra come sempre l’eleganza sorprendente di un segno incisivo che va oltre la tela e scava senza pudori nell’animo umano attraverso, in questo caso, una tempera tenebrosa e una serie di selezionate gravure. La sua amica di un tempo, Felicita Frai, rappresenta invece un perfetto contrappunto nei confronti dell’arte della Fini con suo tipico, solare, fiorito ritratto femminile, mentre Antonio Lonza si fa interprete di una scena settecentesca; John Corbidge è presente con un intenso volto segnato dal tempo e Piero Lucano con un ritratto femminile sul filo della tradizione.
Ed ecco Dyalma Stultus, enfant prodige, povero in canna, dell’arte triestina del primo ‘900, incoraggiato con passione da un generoso mecenate, il principe Raimondo della Torre e Tasso, per il quale decorò anche alcune parti del Castello di Duino: in mostra incontriamo tre suoi oli luminosi dai colori brillanti e dall’impianto classico, sostenuto da reminescenze rinascimentali. Un raffinato affresco di fiori testimonia nella rassegna uno dei filoni espressivi di Giorgio Celiberti, artista internazionale e uno dei decani della pittura della regione. Considerato tra i più grandi protagonisti dell’arte italiana, è autore di un’estetica fuori del tempo, in cui riesce a raccontare in modo personalissimo la tragedia della vita, ma anche a elevare magicamente un oggetto di uso comune a multiplo d’arte.
La scultura è interpretata da tre prestigiosi protagonisti: Marcello Mascherini, scultore di fama, dalle origini misere e tribolate, è presente con un dinamico gallo bronzeo d’impronta espressionista; Ugo Carà, artista gentiluomo, con due raffinati bronzi intitolati “Ballerina” e “Suonatori” e Tristano Alberti con un possente cavallo.
E poi due grandi dimenticati, secondo le regole a volte impietose del mondo dell’arte, autori di un linguaggio del tutto indipendente: Gianni Brumatti con una serie di paesaggi a olio, velati di sottile poesia ed Edoardo Devetta con le sue luminose, liriche e dinamiche vedute di mare e di terra, attraverso cui ha interpretato le istanze di rinnovamento della prima metà del Novecento.
Tra i “paesaggisti” compare anche l’espressionismo lirico di Livio Rosignano, capace di dipingere il vento, caffè pregni d’atmosfera e interni solcati dalla tristezza. Condivise lo studio sul colle di S. Giusto con Romano Rossini e Vittorio Bergagna, presente con un luminoso paesaggio mentre Adolfo Levier è testimoniato da un intenso ritratto; il futurista Osvaldo Peruzzi da un’icastica e interessante raffigurazione di Marinetti e Renato Guttuso da un incisivo ritratto a china. Ireneo Ravalico, Giovanni Duiz e Marino Sormani esprimono diverse interpretazioni di un paesaggio ideale mentre Oreste Dequel esprime liberamente il concetto di figura.
E, last but not least, tra i veterani del pennello compare Aldo Bressanutti, pittore inesauribile che, dopo una dura infanzia, ha superato oggi i cent’anni di età: autodidatta, salvo che per la frequentazione di Cesare Sofianopulo, che ne apprezzava moltissimo il talento, espone una serie di intensi e interessanti oli, tra cui un ironico dipinto intitolato “Requiem per un bragozzo”.
La mostra sarà visitabile fino al 6 settembre.