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I punti-chiave del ddl Concorrenza per le startup

Il governo guidato da Giorgia Meloni, così come i precedenti, ha spesse volte ripetuto – a mo’ di tormentone estivo – che c’è un’enorme necessità di proteggere e tutelare lo sviluppo di nuove imprese nel nostro Paese. Soprattutto se si tratta di quelle cosiddette “innovative” nei settori “strategici”. Ci si attendeva, dunque, una vera e propria riforma del settore con il ddl Concorrenza (approvato nei giorni scorsi in Consiglio dei Ministri) per rinnovare l’ecosistema delle startup e degli incubatori (e acceleratori), ancora appeso a una normativa ormai vecchia e desueta, approvata nel lontano 2012 e modificata – solo leggermente – negli scorsi anni. E, invece, nulla di concreto è stato fatto.

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Non è un caso, infatti, che le principali associazioni del settore – quelle che rappresentano sia le startup che gli incubatori d’impresa (certificati e non) – siano rimasti molto delusi dall’atteggiamento del governo che ha perso l’occasione di diventare protagonista della più grande rivoluzione per quel che riguarda lo sviluppo delle nuove aziende in Italia. Perché i passi fatti in avanti sono pochissimi e non avranno dei grandi effetti sul settore. Invece, ci sono delle novità che potrebbero addirittura ostacolare lo sviluppo sia delle startup (innovative e non), sia delle piccole e medie imprese.

Ddl Concorrenza Startup, i punti chiave della legge

Nei giorni precedenti al Consiglio dei Ministri, circolava una bozza del testo del Ddl Concorrenza (all’interno del quale si parlava anche dei dehors dei locali e delle scatole nere delle automobili) che è stato modificata solo di poco rispetto alla versione approvata in CdM. Andiamo a capire quali sono i punti-chiave del disegno di legge (su cui, dunque, si potrebbe intervenire nell’iter parlamentare attraverso emendamenti, a meno che il governo non decida – anche su questo provvedimento – di fare ricorso al “voto di fiducia”) e come impatteranno sull’ecosistema delle startup. Partiamo dal primo punto – come spiega la nota ufficiale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso -, quello che ha subìto una modifica rispetto alla bozza circolate nei giorni scorsi:

«Vengono introdotti nuovi parametri in grado di individuare e premiare le imprese con le maggiori potenzialità, ovvero le micro, piccole e medie imprese che, entro 2 anni dall’iscrizione nell’apposito registro speciale, hanno un capitale sociale di 20mila euro e almeno un dipendente». 

Dunque, le startup innovative sono quelle che entro due anni dall’iscrizione nel registro speciale riusciranno a mettere insieme un capitale sociale di 20mila euro e avranno almeno un dipendente assunto. La bozza precedente, invece, prevedeva quello stesso capitale social (20mila euro) fin dalla costituzione dell’impresa. Dunque, fin dalla registrazione.

Il registro speciale

Questo aspetto vincolante, seppur meno stringente rispetto alla bozza iniziale del ddl Concorrenza, è uno dei punti più critici e che vengono valutati dalle associazioni di riferimento come penalizzanti per l’intero sistema dello sviluppo di PMI e startup innovative. L’unica luce arriva dall’aumento del tempo di permanenza all’interno del cosiddetto “registro speciale”:

«Viene data particolare attenzione alle Startup innovative che operano nei settori strategici, che potranno permanere nel relativo registro speciale fino a 84 mesi». 

Dunque, per alcune nuove imprese sarà ampliato da cinque a sette anni il tempo di permanenza all’interno del registro ufficiale (requisito necessario per potersi sviluppare e accedere al mercato). Per tutte le altre, resta il tempo massimo a 60 mesi. Un po’ poco. Un’occasione persa che rischia di portare giovani imprenditori (e investitori) a preferire soluzioni estere (come la Francia o la Germania, per rimanere in Europa), in Paesi che hanno leggi che aiutano a rendere più fecondo il terreno per lo sviluppo delle startup.

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