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Olimpiadi e tennis, un matrimonio di convenienza

Il match olimpico tra Nadal e Djokovic ha mostrato due dei più grandi campioni del nostro sport a una platea diversa dal solito. Anche per questo conviene al tennis essere alle Olimpiadi

Alcuni episodi che hanno circondato il match di secondo turno tra Novak Djokovic e Rafael Nadal hanno riportato all’attualità un argomento sicuramente più volte dibattuto come quello del rapporto (matrimonio, convivenza, casual dating,… decidete voi) tra il tennis e le Olimpiadi.

Ogni quattro anni (pandemie permettendo) il tennis si mette un bel vestito a cinque cerchi e partecipa al “più grande spettacolo sulla Terra”, come le Olimpiadi stesse si definiscono, attraverso uno dei suoi principali partner-finanziatori, la catena televisiva americana NBC (parte del gruppo Comcast, lo stesso proprietario di Sky Italia). E lo fa non senza problemi: calendari compressi o stravolti, tornei tradizionali che vengono mutilati, giocatori costretti a repentini cambi di superficie e continente. Ma ne vale la pena?

Come accennato in avvio e come spiegato anche nel podcast giornaliero Radio Olimpiadi, la sessantesima edizione di uno dei classici del tennis di questo secolo ha attirato al Roland Garros un pubblico diverso, numeroso e multicolore, che solo raramente riesce ad avere accesso ai match che contano degli Slam o dei circuiti pro. Il fatto che la partita si sia disputata al secondo turno ha certamente dato una chance in più a chi sceglie (o è costretto, perché guidato dai prezzi) di andare nelle giornate inaugurali dei tornei per poter vedere più partite e più atleti. Per noi rappresentanti dei media ci sono stati diversi grattacapi causati dall’insolito afflusso di così tante persone da ogni Paese del mondo che hanno occupato la pur capiente tribuna stampa del Philippe Chatrier lasciando a bocca asciutta molti di quelli che seguono il tennis in maniera più assidua.

Ci sono stati parecchi colleghi, soprattutto della stampa internazionale, che si sono lamentati di questa abnorme presenza di “turisti”, ma è davvero il caso di arrabbiarsi? Certamente per chi deve lavorare su quel match, non essere in grado di vederlo dal vivo perché la tribuna stampa i posti sono occupati dal responsabile della comunicazione del comitato olimpico uzbeko oppure dall’addetto stampa della federazione canottaggio turca con un “day pass” dà parecchio fastidio, ma non si può considerare questo fatto come la prova della grande popolarità del nostro sport e dell’altissimo profilo mainstream che soprattutto i Fab Four (Djokovic, Federer, Nadal e Murray) hanno conquistato nello star system internazionale?

Forse bisognerebbe esserne contenti, così come del fatto che nella Cerimonia d’Apertura tanti tennisti abbiano svolto un ruolo centrale. Perché in fondo questo è uno dei motivi principali per cui il tennis vuole rimanere attaccato al treno olimpico: per essere parte della grande festa dello sport e condividere questo importante palcoscenico con le altre discipline.

Ogni persona che va alle Olimpiadi, non importa con che ruolo, lo fa anche per avere l’occasione di vedere da vicino, e al massimo livello, sport che spesso si vedono solo in televisione. Essere presenti e disponibili in questa finestra che lo sport si prende a intervalli regolari aiuta la promozione del tennis e la sua crescita. In occasione di questa Olimpiade la RAI trasmette 24 ore al giorno su due canali, le prime pagine dei giornali sono monopolizzate dalle gare parigine, e discipline che solitamente sarebbero di nicchia diventano mainstream con milioni di telespettatori incollati alla TV.

Durante il match olimpico tra Nadal e Djokovic, le tribune dello Chatrier erano piene di gente che probabilmente non li avevano mai visti giocare dal vivo, forse mai più li rivedranno (anche perchè ormai le loro carriere sono agli sgoccioli) e con quasi totale certezza non li avrebbero mai visti se non fossero venuti alle Olimpiadi.

Avere anche il tennis davanti a questa platea che si raduna in un solo luogo ogni quattro anni è importante, e se il prezzo da pagare da parte di noi media è quello di dover faticare un po’ di più una volta ogni quattro anni per vedere una partita, non è la fine del mondo. Così come tutto sommato non è la fine del mondo se in questi quindici giorni si sente parlare di tennis anche da parte di gente che non è in grado di farlo (al bar, sui giornali, in TV…). Poi, il fatto che questa cosa stia accadendo molto più di frequente con i risultati di Sinner e degli altri tennisti italiani è certamente più irritante, ma questo non c’entra con le Olimpiadi.

Il tennis rimane attaccato ai cinque cerchi principalmente per approfittare di questa grande occasione per mostrarsi, per essere più mainstream e, diciamocelo, per staccarsi di dosso quell’etichetta di sport snob e per ricchi che ancora gli sta appiccicata. Le Olimpiadi e il tennis possono sopravvivere benissimo le une senza l’altro, quindi perché questa relazione continui bisogna che abbia senso per entrambi.

Per le Olimpiadi è un vantaggio avere nel novero dei propri sport una disciplina praticata quasi in tutto il mondo, a tutti i livelli e a tutte le età; per il tennis è un vantaggio essere con tutti gli altri sport nella più importante vetrina (anche a livello commerciale) che ci sia. Senza il denaro del CIO il tennis sopravvive tranquillamente, a differenza di altri sport, ma in termini di investimento in immagine il mal di testa quadriennale di infilare le Olimpiadi in un calendario in cui non ci stanno vale ancora la pena. Basta non sabotarlo comportandosi come quei ricchi viziati che diamo l’impressione di essere dall’esterno.

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