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Perché al Parlamento Ue dovrebbe nascere una Commissione speciale sulla criminalità organizzata

Perché al Parlamento Ue dovrebbe nascere una Commissione speciale sulla criminalità organizzata

Il nuovo Parlamento europeo dovrebbe affiancare alle Commissioni ordinarie, delle quali abbiamo letto in questi giorni, una Commissione speciale sulla criminalità organizzata e assegnarle due compiti molto precisi: proporre una ulteriore armonizzazione tra i vari sistemi normativi vigenti in Europa e proporre tempi e modi attraverso cui fare della Eppo una vera e propria Procura […]

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Il nuovo Parlamento europeo dovrebbe affiancare alle Commissioni ordinarie, delle quali abbiamo letto in questi giorni, una Commissione speciale sulla criminalità organizzata e assegnarle due compiti molto precisi: proporre una ulteriore armonizzazione tra i vari sistemi normativi vigenti in Europa e proporre tempi e modi attraverso cui fare della Eppo una vera e propria Procura europea antimafia e anti terrorismo.

Questa esigenza muove da alcune considerazioni.

Trovo sempre più desolante l’affermazione secondo la quale “le mafie non sparano più, ma adoperano la corruzione”. Temo che questa affermazione sia figlia di un errore grave di prospettiva non più sopportabile e mi spiego. E’ vero o no che a monte della ricchezza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sta ancora il narcotraffico? Il narcotraffico è un fatto criminale transnazionale, si pensi qui (soltanto a mo’ di esempio) al giro della cocaina che parte dal centro e sud America per arrivare nei grandi porti europei, con la mediazione quasi monopolistica di affiliati alla ‘ndrangheta.

Il business della cocaina produce a valle l’altro grande e pervasivo fenomeno del riciclaggio, che tra gli altri disvalori alimenta una sistematica distorsione della libera concorrenza, inquina il mercato e produce riserve occulte da spendere nella corruzione di professionisti, funzionari pubblici e politici. Il business della cocaina ha bisogno nel suo punto di partenza di un ferreo controllo del territorio in cui si realizzano la coltivazione e le prime lavorazioni del prodotto e dunque anche i primi spostamenti dello stesso. Ma allora i morti ammazzati in Messico o in Ecuador sono o no morti che ci riguardano?

Le organizzazioni mafiose, detto altrimenti, ammazzano ancora e come hanno sempre fatto: ammazzano lì dove serve per consentire l’innesco di tutta la filiera di arricchimento illegale. Esattamente come negli anni ’70 e ’80 in Italia Cosa Nostra e ‘ndrangheta spargevano sangue innocente per costruire le proprie fortune entrando precisamente nell’affare della droga: ammazzava Cosa Nostra per proteggere le raffinerie in Sicilia e ammazzava la ’ndrangheta, operando brutali sequestri di persona finalizzati alla capitalizzazione necessaria ad entrare nel medesimo affare.

Allora quando leggo che durante le ultime elezioni messicane sono stati ammazzati 33 candidati sindaci, che 222 seggi sono stati chiusi per motivi di sicurezza e che per questo oltre 120.000 cittadini messicani non hanno potuto esercitare il proprio diritto di voto penso che quei morti sono morti nostri, morti che ci riguardano perché sono l’anello di terrore a cui si attacca tutta la catena.

Se una premessa del genere fosse condivisa, allora soltanto un organismo parlamentare europeo potrebbe stimolare adeguatamente l’Ue, facendo in modo che questa si assuma fino in fondo le proprie responsabilità di fronte ad un fenomeno globale che sostanzialmente rischia di condannare al fallimento i singoli Paesi membri: applicando a questa materia una logica simile a quella che si applica per l’elusione fiscale delle big-tech. D’altra parte gli assassinii “qualificati” perpetrati negli ultimi anni in Europa di giornalisti (!) che indagavano sui rapporti tra narcotraffico, imprenditori, politici corrotti non dovrebbero lasciare dubbi: Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak (ucciso con Martina Kusnirova), Peter de Vries.

Ciò posto, quali armonizzazioni sono necessarie? Qui non posso che procedere per titoli e comunque parzialmente: il reato associativo, quello che noi italiani chiamiamo 416 bis, che considera di per sé criminale la mera appartenenza ad una organizzazione a delinquere con certe caratteristiche (che per noi definiscono il “metodo mafioso”), comunque lo si voglia chiamare in Europa. Le misure di prevenzione patrimoniali, che considerano pericolose di per sé le ricchezze di provenienza illecita, meritevoli quindi di essere confiscate (e riutilizzate socialmente!), in base al criterio oggettivo della sproporzione, in assenza di condanna penale. La tutela dei collaboratori di giustizia e dei testimoni di giustizia. Il regime detentivo speciale che impedisca agli affiliati di comandare nel carcere e dal carcere. Il rapporto tra accesso alle misure di espiazione della pena affievolite e la volontà concreta di collaborare con la giustizia.

Perché la Eppo? Perché la Procura Europea, istituita per perseguire le condotte fraudolente che riguardano i fondi europei, porta già con sé una rivoluzione metodologica, superando per la prima volta la logica della collaborazione rafforzata a vantaggio dell’esercizio diretto della giurisdizione e una intuizione criminologica purtroppo fortunata: tanti sono infatti i casi già documentati di intreccio tra frodi sui fondi europei, soprattutto in agricoltura (che resta la voce di investimento più importante per la Ue) e le mafie.

Rimando per ogni opportuno approfondimento al lavoro di Beppe Antoci, oggi europarlamentare M5S, ai verbali del boss della mafia garganica Marco Raduano, fuggito, riacchiappato e “convertito” al bene, che racconta delle “vacche sacre” pugliesi. Ma anche ai verbali di un altro “broker” recentemente “convertito”: quel Vittorio Raso, di stanza a Nichelino nel torinese, che sarà anche un’ottima dote per il lavoro del nuovo Procuratore di Torino, Giovanni Bombardieri. L’estate sta finendo.

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