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Parigi 2024, la pugile trans e le regole che non garantiscono le altre atlete



Il caso è rapidamente diventato politico oltre che sportivo. E ha messo in le falle di un sistema incapace di stabilire in maniera chiara, lineare e coerente se un atleta transgender possa o no prendere parte a competizioni con colleghe donne. E se lo possa fare sempre, solo talvolta oppure mai. Un cortocircuito esplosivo anche perché la vicenda riguarda la boxe che tra tutti gli sport olimpici presenti a Parigi 2024 è quello che ha, non è difficile capire perché, le maggiori implicazioni legate alla sicurezza di atleti e atlete. Qualsiasi sia la loro identità sessuale.

La storia sta facendo il giro del mondo e non interessa solo l'Italia. A noi arriva con forza perché il destino ha messo la pugile algerina transgender Imane Khelif sulla strada dell'azzurra Angela Carini. Incroceranno i guantoni sul ring parigino giovedì 1 agosto e la domanda che i dirigenti della delegazione italiana si sono fatti è come sia stato possibile. Imane Khelif, infatti, è a Parigi ma non era stata accettata nella starting list del Mondiale di categoria dello scorso anno. Il motivo? Non aveva superato la verifica ormonale come previsto dal protocollo della federboxe mondiale.

Solo che le norme di accesso alle Olimpiadi sono differenti. Dunque, un anno fa no e adesso sì e come lei anche la taiwanese Lin Yu-tin che se la vedrà con un'avversaria uzbeka che si presume a sua volta abbastanza perplessa. Anche il Coni ha deciso di manifestare qualche al Cio per chiedere un quadro della situazione e, soprattutto, garantire che fossero rispettati i diritti di tutti e che tutti fossero "conformi alla Carta Olimpica e ai regolamenti sanitari": Tradotto, per chiedere conto di una decisione abbastanza incomprensibile al di là dei tecnicismi perché è chiaro che in uno sport duro e di contatto come il pugilato inserire atleti o atlete con differenze comprensibili di potenza, forza e resistenza può essere un problema.

Non solo di equilibrio competitivo, ma anche di salute. Angela Carini salirà invece sul ring contro un'avversaria i cui colpi, come testimoniato una precedente avversaria messicana, "fanno molto male" tanto da spingerla a spiegare di "non essersi mai sentita così nei suoi 13 anni da pugile, nemmeno combattendo contro sparring partner uomini".

Insomma, un pasticcio. I Giochi olimpici sono per definizione inclusivi, ma in discussione non è il diritto delle persone transgender a costruirsi una dimensione agonistica di alto livello bensì l'assoluta ipocrisia e incomprensibilità di regolamenti così differenti l'uno dall'altro.

Il caso, come detto, è diventato rapidamente politico. In Italia hanno preso posizione il ministro dello Sport, Andrea Abodi, e il collega di maggioranza e governo, Matteo Salvini. “Trovo poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi europei, mondiali e Olimpiadi. Nell’evento che rappresenta i più alti valori dello sport si devono poter garantire la sicurezza di atleti e atlete, e il rispetto dell’equa competizione dal punto di vista agonistico. Per Angela Carini non sarà così - ha detto Abodi -.Quello delle atlete e degli atleti transgender è un tema che va ricondotto alla categoria del rispetto in tutte le sue forme, ma dobbiamo distinguere la pratica sportiva dall'agonismo che deve poter consentire di competere ad armi pari, in piena sicurezza. È del tutto evidente che la dimensione dell’identità di genere in ambito agonistico pone il problema delle pari opportunità o delle stesse opportunità; non a caso, tante discipline sportive hanno posto dei vincoli per le atlete e atleti transgender necessari per poter permettere di gareggiare alle stesse condizioni. In questo caso assistiamo a un’interpretazione del concetto di inclusività che non tiene conto di fattori primari e irrinunciabili”.

Dello stesso avviso la ministra per le Pari Opportunità, Eugenia Roccella: "Sorprende che non vi siano, a livello internazionale, criteri certi, rigorosi e uniformi, e che proprio alle Olimpiadi possa esserci il sospetto, e assai più del sospetto, di una competizione impari e persino potenzialmente rischiosa per una dei contendenti”.

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