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Mezzo milione di firme per il referendum contro l’autonomia

Ormai manca solo l’ufficialità, anche se nemmeno la scaramanzia è riuscita a trattenere la soddisfazione di alcuni proponenti. Partiti di centrosinistra, sindacati e associazioni sono riusciti a mettere insieme le 500 mila sottoscrizioni necessarie per proporre il referendum contro la legge sull’Autonomia differenziata.

«Un successo incredibile, che è solo l’antipasto che aspetta Giorgia Meloni, quando i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi su questa riforma» ha commentato Riccardo Magi, segretario di +Europa.

La notizia ha iniziato a circolare nel pomeriggio del 31 luglio, frutto dell’addizione tra le oltre 360 mila firme registrate online e le 180 mila apposte tra i gazebo allestiti in tutta Italia.

Sono stati sufficienti dieci giorni per riunire mezzo milione di italiani, apertamente contrari alla riforma Calderoli, tanto da avere firmato per chiederne l’abrogazione.

Non è l’unica strada per lo stop: in rampa anche il ricorso contro la legge sull’Autonomia davanti alla Consulta, sostenendo la sua incostituzionalità. Se ne occuperà la Regione Sardegna, tra i capofila del fronte referendario. E la governatrice di fede pentastellata Alessandra Todde ha nominato i tre esperti che affiancheranno l’avvocatura dell’amministrazione nella redazione del ricorso: si tratta dei costituzionalisti Antonio Saitta, Andrea Deffenu e Omar Chessa.

«Ci aiuteranno in questo percorso, perché questa legge mina le fondamenta di specialità della Sardegna. Mi appello anche ai sardi che vivono in Veneto, Lombardia e nelle regioni del Nord. Questa legge funzionerà, forse, per un breve periodo, perché l’egoismo mina la coesione nazionale e questa legge vuole semplicemente mettere da parte le regioni più povere» ha detto Todde.

È il momento della stretta finale, che vede i due fronti compattarsi. Quello di centrosinistra, sempre più organizzato nel contrastare la nuova legge. E poi la Lega – perché parlare di centrodestra unito sarebbe inadeguato – consapevole che dall’esito del referendum dipenderà la sua stessa sopravvivenza.

Resta più defilata Forza Italia, frastagliata ed eterogenea nelle valutazioni sulla legge – si pensi alle sole perplessità del coordinatore Antonio Tajani –; ma anche Fratelli d’Italia. Si capisce dalle parole del coordinatore veneto dei meloniani Luca De Carlo, che sostiene: «L’Italia è già spaccata. L’Autonomia è una soluzione per cambiare lo status quo, che vede il Nord insoddisfatto e il Sud in difficoltà».

Ma poi, riprendendo (e smentendo) il concetto più volte ripetuto dal governatore Zaia nelle ultime settimane, aggiunge: «Nemmeno chiedere al popolo di esprimersi spacca l’Italia». Precisando, con una puntura agli avversari politici: «Semmai è curioso vedere così attiva nella raccolta firme la sinistra, che di fatto sta contrastando un referendum – quello del 2017 – che li vide votare a favore. I veneti questo lo sanno e il prossimo anno se lo ricorderanno», il riferimento alle prossime elezioni regionali.

I veneti, magari, se ne ricorderanno. Resta da capire, a questo punto, quale sarà la valutazione del resto degli italiani alle urne, se il quesito passerà il vaglio della Corte Costituzionale.

Gli autonomisti fanno leva sul legame della riforma alla legge di bilancio, circostanza che potrebbe renderla non assoggettabile a referendum abrogativo. Ma sarà la Consulta a valutare il caso e sciogliere la riserva.

Quindi, in caso di via libera, gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne già nella prossima primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, quando (forse) saranno devolute alla competenza delle Regioni solo alcune materie “non Lep”.

E lì si ritroverebbero di fronte al quesito: «Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?», come da testo depositato alla Corte di Cassazione il 5 luglio scorso, dal comitato promotore del referendum.

Superato l’ostacolo delle 500 mila firme, adesso la palla ritorna alla politica. E agli avvocati, chiamati a preparare il ricorso.

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