Dart: lo studio che prova a “non farci finire come i dinosauri”
Due piccoli asteroidi, Didymos e il suo satellite minore Dimorphos, sono stati recentemente immortalati in alta definizione, offrendo un ritratto senza precedenti. I corpi celesti sono al centro di uno studio volto a prevenire potenziali minacce di impatto con la Terra, evitando di “finire come i dinosauri”. L’osservazione è stata resa possibile grazie al contributo del nanosatellite italiano LiciaCube, sviluppato da Argotec e gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana. Le scoperte, pubblicate in cinque articoli su “Nature Communications”, includono due studi guidati dai ricercatori italiani Alice Lucchetti e Maurizio Pajola dell’Osservatorio di Padova, parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
La missione Dart della NASA, questo il suo nome, ha provato a deviare la traiettoria di un asteroide. Un “test” per la protezione planetaria. Nonostante non ci fosse alcun rischio reale di collisione con la Terra, l’evento ha fornito un’occasione preziosa per valutare la capacità di modificare la rotta di asteroidi potenzialmente pericolosi.
Due anni dopo l’impatto, catturato dalle telecamere del nanosatellite LiciaCube che si era distaccato dalla sonda Dart poco prima dell’incidente, sono state condotte analisi dettagliate sui risultati. “I dati ci hanno permesso di mappare le fratture presenti sulla superficie dei massi dei due asteroidi,” ha spiegato Lucchetti, responsabile di uno degli studi.
“Studiare gli asteroidi può sembrare molto lontano dalla nostra quotidianità, ma lo facciamo per un motivo molto concreto: evitare di fare la fine dei dinosauri”, ha riferito all’ANSA Pajola. Sempre a riguardo dell’impatto avvenuto 65 milioni di anni fa, precisa sia “avvenuto perché un oggetto celeste, non diverso da quello studiato nei nostri lavori appena pubblicati, venne deviato dalla sua orbita e colpì la Terra”.
Le analisi delle fratture, unite alla valutazione della forma e distribuzione dei massi, hanno rivelato la storia di questi oggetti. Didymos si sarebbe formato circa 12,5 milioni di anni fa dai resti di un corpo più grande, distrutto in un impatto violento, mentre Dimorphos, il compagno più piccolo, si è originato circa 300.000 anni fa a seguito della fuoriuscita di materiali da Didymos.
Questi studi permettono anche di fare previsioni sul futuro di Didymos e Dimorphos. La maggior parte delle rocce presenta fratture superficiali che variano dai 50 centimetri ai 3 metri, disposte lungo una stessa direzione. “Sono Indicazioni evidenti,” ha spiegato Lucchetti, ” di fratture dovute allo stress termico, ossia l’alternanza con il calore del Sole”. Nel corso di migliaia di anni, tali fratture potrebbero portare alla disintegrazione delle rocce più grandi su Dimorphos.
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