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«Pet loss», quando muore l'animale domestico

Quando accade, avviene un cataclisma emotivo poco riconosciuto dalla società, eppure innegabile. Al punto che in Italia si diffondono i luoghi dove seppellire i resti del compagno d’affezione, oltre a modi per tenerlo con sé anche «dopo».

Lo chiamano «pet loss», ed è forse uno dei pochi tabù dei nostri tempi. In un’Italia in cui, stando a una recente ricerca Ipsos, circa il 56 per cento delle famiglie possiede almeno un animale domestico, quando scompare il proprio cane o gatto (ma ci sono anche gli altri animali da compagnia) ci si trova davanti a una catastrofe emotiva che difficilmente si riesce a esternare. «O, piuttosto, che si teme di svelare se non con la propria cerchia ristretta di amici, dove si è certi di trovare comprensione, e una tutela per le proprie fragilità. Ormai in questi tempi barbari, lo spazio per il lutto, per qualsiasi tipo di lutto, sembra annullarsi» ragiona la scrittrice Sandra Petrignani, che ha dedicato al tema il bel libro Autobiografia dei miei cani (Gramma Feltrinelli, 208 pp, 17,10 euro), una sorta di memoir scandito dalle esistenze degli amati, diversissimi, cani dell’autrice.

Qualcuno potrebbe obiettare che considerata l’età media degli animali - i cani, peresempio, raggiungono i 10-13 anni, mentre i gatti i 15-18 - la morte dovrebbe essere messa in conto. Eppure ogni anno oltre un milione di connazionali si imbattono in questo dolorosissimo lutto silenzioso. «Alla morte del proprio caro compagno di vita» spiega Monica Marelli, artista e scrittrice «si affronta uno sconvolgimento perché si perde un componente della famiglia. Non ci sono sconti sul dolore. È un cataclisma». Marelli - già autrice dei longseller Arrivederci Bau e Arrivederci Mao (entrambi pubblicati da DeVecchi) - prosegue: «Alcuni studi antropologici hanno dimostrato come alla base del nostro legame con gli animali ci sia lo zampino della neotenia: occhioni-guanciotte-boccuccia ricordano i tratti somatici dei bambini piccoli, così il gioco del legame profondo è consolidato. Insomma lo dice la scienza, e il nostro cuore: quando perdiamo l’animale di famiglia, siamo genuinamente disperati. Come ogni unione d’amore che si spezza fa male, molto male».

Un vortice emotivo che ha delle implicazioni intime spesso trascurate. «Perdere il proprio animale domestico è un dolore importante. Ma, dal mio punto di vista, chi ha tanti cani è come chi fa tanti figli: accade un po’ anche per non perdere la loro presenza. Attenzione però», puntualizza Petrignani, già finalista al Premio Strega con La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg (Neri Pozza, 464 pp, 18 euro), «perché questo non vuol dire che si soffra di meno. La perdita di un essere a cui vuoi bene è misurarsi con la morte, che poi è la propria morte. I ricordi possono essere un aiuto, ma anche avere una tomba cui guardare», conclude l’autrice.

Di certo il dolore tocca anche il cuore dei pet che restano, e che magari per anni hanno condiviso ogni momento della giornata con lo scomparso. «Spesso viene trascurato il legame che gli animali formano anche tra loro» commenta l’educatrice cinofila Daniela Dini. «Per esempio, quando un cane è in lutto può manifestare cambiamenti comportamentali e fisici come un calo di interesse per il cibo, o l’assunzione di comportamenti letargici. Si tratta di una realtà emotiva che merita attenzione e comprensione. Il mio consiglio? Riconoscere e rispettare questa dimensione, offrendo comfort, mantenendo una routine stabile e osservando attentamente i segnali di sofferenza».

Oltre il lato emotivo, c’è anche quello pratico. Dopo aver denunciato la morte del proprio animale, secondo la legge italiana ci si può affidare al veterinario per lo smaltimento del corpo, oppure a un impianto per la cremazione collettiva (da 50 euro, che non permette però la restituzione delle ceneri perché la pratica avviene in contemporanea ad altri simili) o singola (da 250) che prevede la consegna di un’urna con le ceneri del pet; in alternativa si può seppellire la salma nel proprio giardino di casa, o - opzione sempre più praticata - in un cimitero per animali, dove si stipula un contratto che può partire dai cinque ai vent’anni. Il sistema è piuttosto semplice: si paga una quota iniziale (circa 500 euro) e, generalmente, una cifra annuale per affittare il posto dedicato alla sepoltura e usufruire dei servizi di manutenzione annessi. Allo scadere del contratto si è poi invitati a scegliere se prolungare ulteriormente l’accordo oppure procedere alla cremazione.

Al momento nel nostro Paese ci sono decine di cimiteri per animali. Il più antico di tutti - e uno fra i più costosi - è quello romano che si trova nel quartiere Portuense, Casa Rosa, in attività dal 1923. Una curiosità? La prima ospite è stata una gallina che Benito Mussolini aveva regalato ai suoi tre figli Bruno, Vittorio e Romano; sono seguiti poi i cani di Casa Savoia e quelli di Peppino De Filippo, ma anche gli animali cari a Sandro Pertini, Anna Magnani e Brigitte Bardot. A fondarlo il veterinario Antonio Molon, che lo chiamò così in onore della moglie Rosa Pontarin, e a gestirlo oggi il figlio Luigi. Fra casette di legno, peluche, fiori, ma anche statue in marmo e in bronzo che ricordano i propri pet ci si ritrova in un luoghi della memoria ben diversi dai «cimiteri abusivi» che da Caserta ad Alessandria, da Bari ad Ancona, hanno animato negli anni le cronache.

Però per ricordare i propri piccoli amici esistono anche delle alternative più contemporanee. Come quella scelta da Gabriella Manzini, commercialista abruzzese, che del suo gatto ha deciso di fare un diamante. «Siamo stati insieme vent’anni, e volevo qualcosa che mi permettesse di portarlo sempre con me. Mi sono rivolta a una società in Svizzera nota per trasformare le ceneri di animali domestici in diamanti. Ho speso una piccola fortuna, quasi quattromila euro, ma l’anello che porto al dito ogni secondo mi ricorda il mio amato».

La pratica della diamantificazione si basa sulla chimica del carbonio, elemento fondante dei diamanti, e attraverso una serie di elaborati passaggi porta a creare dalle ceneri del proprio pet - attraverso proprio l’utilizzo del carbonio contenuto in esse - un diamante della memoria. Ma le vie della rimembranza sono infinite. E così c’è anche chi aiuta a preservare la bellezza del proprio caro attraverso l’arte. Fra le più apprezzate la mosaicista romana Ginevra Malatesta, seguitissima online, che fa micro-mosaici gioiello, anelli ma anche collane, degli amatissimi pet (non necessariamente scomparsi). «La cosa più bella che mi abbiano detto? Quella che grazie a me, in qualche modo, il loro pet è diventato eterno». Perché la bellezza, come la memoria e i sentimenti, non conosce i confini del tempo.

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