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Vasco Brondi al Castello di San Giusto: «Diciassette anni di dischi dal fragore al silenzio»

TRIESTE Non suona da tanto a Trieste, ma è stata una delle prime città che lo hanno accolto: era il 2008 quando, con il suo progetto ancora di nicchia (ma in esplosione) Le Luci della Centrale Elettrica si esibiva al giardino San Michele per il Tetris, all’Etnoblog, e poi al Miela… Oggi torna, forte di un solido successo, con il suo nome che ormai da tempo sostituisce Le Luci.

Vasco Brondi è al Castello di San Giusto venerdì 2 agosto alle 21 per la rassegna “Hot in the city”; in apertura la triestina Gaya Misrachi in arte ETT.

«È da moltissimo che non suono a Trieste – conferma il cantautore nato a Verona nel 1984 e cresciuto a Ferrara – ma è una città che amo: anche l’estate scorsa ci sono stato un paio di settimane».

Davvero?

«Tra un concerto e l’altro mi piace andare nei luoghi che amo. Mi sono goduto un bellissimo periodo, stando a Barcola, scrivendo, girando le librerie storiche. Ormai la conosco bene e posso dire che è tra le mie 4-5 preferite in Italia. Avrei sperato di potermi fermare anche questa volta, ma abbiamo subito una data in Sicilia».

Un legame esteso alla regione, visto che i suoi primi album sono usciti per La Tempesta di Pordenone?

«Sì, in generale il Friuli lo amo molto. Grazie a Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti ho trovato una casa in un bosco dove per due anni ero stato durante l’estate. Un posto bellissimo, dove si può stare anche in pieno agosto, in giro per torrenti, ruscelli e montagne, senza caos e turismo di massa. Lo dico piano perché è un segreto da custodire».

Cosa propone a San Giusto?

«Un concerto che mette insieme i miei ormai 17 anni di dischi, quindi inserisco brani dal primo “Canzoni da spiaggia deturpata” del 2008 come dall’ultimo “Un segno di vita” uscito quest’anno. Ci sono anche delle poesie. Un live che tende al fragore e arriva anche al silenzio, ha dentro un po’ tutte le dimensioni che ho toccato in questi anni».

Ha abituato il pubblico a un’evoluzione continua, senza mai “accomodarsi” sui traguardi raggiunti ma spingendosi sempre avanti: cosa aggiunge al suo percorso “Un segno di vita”?

«Il mio è un lavoro che ha il privilegio, anche l’onere e l’onore, che obbliga ad evolversi. Per me ogni disco è come cercare di togliere uno strato in più, arrivare nel profondo, nel nucleo incandescente della terra e di me stesso. Le canzoni sono sempre esperimenti con la verità».

È considerato ormai un pilastro della musica italiana, un punto di riferimento. Che effetto fa?

«Non è una cosa a cui faccio caso. “Segui la strada che nessuno ti indica” come ho scritto nella canzone “Fuoco Dentro” (che vede ospite Nada). Guardarsi dentro e attorno e seguire la strada che nessuno ti indica è la mia ricetta, l’importante non è l’effetto che ha sugli altri ma che sia sempre fondamentale e indispensabile per me quello che sto facendo».

Per ora è stata annunciata una data all’Alcatraz il 2 dicembre che celebrerà dieci anni da “Costellazioni”. Che altro l’aspetta dopo l’estate?

«Ci sarà l’uscita della prima colonna sonora che ho scritto, per un documentario/ film di Paolo Cognetti (lo scrittore de “Le otto montagne”), lo presenteremo il 6 agosto a Locarno e uscirà al cinema a fine novembre. Con i concerti mi fermerò un po’ per scrivere».

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