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Cosa cambierà se vince Trump

Dalle tensioni commerciali con la Cina al conflitto in Ucraina. Quindi il ruolo dell’Europa nella difesa globale. E le ricadute per l’Italia. Se il candidato repubblicano tornerà alla Casa Bianca la politica globale degli Stati Uniti cambierà. Ecco come.

«Una vittoria di Donald Trump non significherebbe l’arrivo di Attila. Sulla Nato che deve pagare il conto lo ribadiscono tutti i presidenti americani, magari con toni e modi diversi. I dazi li hanno già imposti Obama e Biden. L’idea che il giorno dopo l’elezione dica a Vladimir Putin prenditi l’Ucraina è fuori dalla realtà». Nicola Procaccini, copresidente di Fratelli d’Italia dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) non teme un’eventuale vittoria di Donald Trump nel voto per la Casa Bianca del 5 novembre. Partita tutta ancora da giocare dopo il ritiro dalla corsa elettorale del presidente in carica Joe Biden, che ha passato il testimone alla sua vice, Kamala Harris. Trump ha subito dichiarato che «sarà più facile da battere». Alla convention repubblicana di Milwaukee, subito dopo il fallito attentato a Trump, è stato invitato Antonio Giordano, segretario generale del gruppo. Niente di scandaloso: «Abbiamo un rapporto ufficiale con il partito repubblicano, come con i Tories inglesi e il Likud israeliano» fa notare il parlamentare europeo. Se tornasse alla Casa Bianca la «bestia nera» dei progressisti di mezzo mondo, l’Italia e l’Europa sono pronte?

Francesco Maria Talò, ex consigliere diplomatico a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni, che è stato rappresentante alla Nato dal 2019 al 2022 ribalta la domanda di Panorama: «La vera domanda è se gli Stati Uniti siano pronti per Trump. Se gli elettori lo voteranno occorre rispettare il mandato. Non bisogna demonizzare nessuno e poi abbiamo già sperimentato Trump per quattro anni. Quello che chiamo il “cassandrismo” rischia di produrre danni”. Il diplomatico di lungo corso sottolinea che «i rapporti del presidente del Consiglio Meloni con Biden sono stati ottimi, ma non ho alcun motivo di dubitare che lo saranno anche con Trump. Potrebbe essere impegnativo, ma anche un’opportunità se giocata bene». In caso di vittoria repubblicana la vera sfida da affrontare, per Trump, sarà la Cina, dove Meloni arriva a fine luglio. «Gli europei non sono in grado di giocare da soli questa sfida del secolo o porsi come terza forza, ma possiamo fare la differenza» aggiunge Talò. «L’Occidente deve restare unito: Europa e Nord America hanno bisogno gli uni degli altri». Il governo italiano si è mosso rafforzando il rapporto con il gigante indiano, gli Stati del Golfo e abbiamo mandato anche una squadra navale in Estremo Oriente. «La prospettiva è “indo-mediterranea”, un punto di forza rispetto all’America che guarda all’Indo-Pacifico. Una cerniera geopolitica con grandi opportunità per il nostro Paese» osserva l’ambasciatore.

Washington ha apprezzato l’uscita, non traumatica, dell’Italia dalla Via della seta voluta dal pentastellato Conte. «C’è preoccupazione per un diverso approccio americano alla crisi ucraina» apprende Panorama, «ma sulla Nato Trump darebbe impulso al raggiungimento del 2 per cento del Pil per la Difesa, da una parte, e dall’altra potrebbe rappresentare un’opportunità per gettare seriamente le basi di un pilastro militare europeo». Lucio Martino, analista di geopolitica ed esperto degli Usa, fa notare, però, che «per Trump l’Italia ha poca importanza. Meloni si è legata molto a Biden e nonostante i collegamenti del mondo conservatore bisogna ricordare che Trump ha trasformato il partito repubblicano in Maga (Make America great again, ndr), un’altra cosa».

Per questo i rapporti privilegiati con il neo conservatore di origini italiane, Mike Pompeo, che è stato a capo della Cia e segretario di Stato nella prima presidenza Trump, conteranno fino a un certo punto. Gli emergenti nella cerchia di Trump sono altri, come il candidato vicepresidente, James David Vance, personaggio da tenere d’occhio per le presidenziali del 2028. Un possibile segretario di Stato è Richard Grenell, ex diplomatico e direttore della National intelligence, che ha dichiarato sulla Nato: «Qualsiasi Paese che non investa il 2 per cento del proprio Pil nella Difesa non dovrebbe essere autorizzato a votare sull’adesione di nuovi membri». Al momento 23 nazioni dell’Alleanza su 32 stanno raggiungendo l’obiettivo, ma l’Italia faticherà ad arrivare al 2 per cento entro il 2028 nonostante il mini aumento all’1,6 per cento. Il 21 luglio era a Roma per partecipare a un forum, un’altra stella nascente del giro di Trump, l’ex democratica Tulsi Gabbard. Riservista che ha servito in Iraq, 43 anni, membro del Congresso per le Hawaii fino al 2021, commentatrice in tv a favore dell’ex-presidente, ha girato un video selfie a Trastevere durissimo su Harris: «Non è adatta e qualificata per diventare il comandante in capo. Rappresenta un incredibile pericolo».

Il vero mal di testa per l’Europa sono le mosse di Trump sull’Ucraina se diventasse di nuovo presidente. Il timore è restare con il cerino in mano per il conflitto nel cuore del continente. J.D. Vance, il prescelto vicepresidente, ha già detto che bisogna tagliare gli aiuti militari, che il candidato presidente risolverà il problema in 24 ore e circola un piano messo a punto da Keith Kellogg, ex generale, e Fred Fleitz, entrambi capi di gabinetto nel Consiglio di sicurezza nazionale della prima presidenza Trump. «Dobbiamo dire agli ucraini che devono sedersi al tavolo, altrimenti il sostegno degli Stati Uniti diminuirà progressivamente. E a Putin lo stesso, altrimenti daremo a Kiev tutto quello che serve per sconfiggerlo sul campo» ha spiegato Kellogg. L’obiettivo è il congelamento del conflitto con una tregua sull’attuale linea del fronte, simile al 38esimo parallelo in Corea, visto come fumo negli occhi da Volodymyr Zelensky. Trump, dopo la nomination, ha telefonato al presidente ucraino e i due si incontreranno presto. Kellogg e Fleitz sono «moderati» rispetto a posizioni più estreme e filo russe sull’Ucraina dell’ex colonnello Douglas Abbott Macgregor, ascoltato da Trump, che è stato anche ambasciatore americano in Germania.

«Se nei confronti dell’Ucraina commettiamo errori come quelli compiuti in Afghanistan le conseguenze sarebbero pesanti non solo in Europa ma a livello globale a partire dall’Indo-Pacifico» sostiene Talò. «Si darebbe la sensazione di un Occidente in ritirata, che non credo sia assolutamente la visione di Trump. Kiev, poi, a differenza di Kabul, ha dimostrato una grande capacità di resistenza». Martino spiega che «il candidato repubblicano, più che isolazionista, è un nazionalista conservatore, che interpreta tutte le organizzazioni internazionali, dall’Onu alla Nato agli accordi sul clima, come un meccanismo per imbrigliare gli Stati Uniti. Preferisce i rapporti bilaterali con le nazioni chiave». L’Europa è già in rotta di collisione. Josep Borrell, l’Alto rappresentante Ue, uscente, ha dichiarato: «Gli americani devono decidere chi vogliono alla Casa Bianca e sono sicuro che ci sarà una differenza piuttosto importante per le relazioni transatlantiche a seconda di chi si insedierà».

Le preoccupazioni europee riguardano anche l’economia. Gli economisti dell’istituto finanziario di New York, Goldman Sachs, hanno preparato un’analisi forse troppo da Cassandra. «Trump si è impegnato con dazi generalizzati del 10 per cento su tutte le importazioni statunitensi (anche dall’Europa)» affermano, «che probabilmente porterebbe a un forte aumento dell’incertezza sulla politica commerciale». Martino spiega che «i dazi li utilizzerà come “arma” bilaterale non solo contro la Cina, ma pure con i produttori europei che individua come concorrenza sleale nei confronti della produzione interna». E sul clima, come ha già fatto durante la prima presidenza, lascerà alle spalle qualsiasi accordo puntando sullo sfruttamento degli idrocarburi. Un campanello d’allarme per il velleitario Green deal di Ursula von der Leyen, neo-riconfermata alla guida della Commissione Ue.

Se arriva Trump non sarà un dramma, ma potrebbe diventarlo in caso di sconfitta elettorale contesa o successivo impeachment dal «cordone sanitario» attorno alla Casa Bianca, che si va organizzando sottotraccia in ambienti militari, politici, dell’informazione, della sicurezza e dell’economia. Improbabile un nuovo attentato, che dopo la nomination porterebbe al potere Vance, ancora più duro di Trump. «Una seconda guerra civile americana, come nell’omonimo film, non è credibile» spiega Martino. «Lo scenario peggiore che si prospetta è una situazione di guerriglia e terrorismo come nell’Irlanda del Nord degli anni Settanta. Milizie e cellule clandestine in grado di attaccare le istituzioni nei vari Stati, a chiazza di leopardo, anche grazie a deviazioni negli apparati di sicurezza, all’interno delle forze di polizia e della Guardia nazionale».

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