Movimento 5 Stelle: la crisi di consenso non si risolve togliendo la regola dei due mandati
Le scorse elezioni, nonostante il grande impegno del Presidente Conte, non sono purtroppo andate bene per il Movimento 5 Stelle, che al di là delle “percentuale Lidl” (9.99%) ha perso qualcosa come due milioni di voti rispetto alle ultime elezioni politiche.
Chi non vota il Movimento si rifugia nell’astensione. Infatti, i due milioni di voti persi non sono affatto compensati dai circa settecentomila voti acquistati da Pd e Avs: ne mancano un milione e trecentomila. Un Movimento debole danneggia non solo se stesso ma tutta la coalizione di centro-sinistra.
Di fronte a una crisi di consenso che ha colpito tutta una comunità è giusto interrogarsi e proporre miglioramenti. Tuttavia, la soluzione ventilata da diversi esponenti dei Movimento è stata il superamento della regola dei due mandati per i parlamentari, con il garante Beppe Grillo che è giustamente perplesso e contrario.
Si potrebbe pensare che quella dei due mandati sia una semplice questione interna come le altre. Invece è un principio sul quale è fondato il Movimento, e se questo crollasse, questo non sarebbe più il Movimento 5 Stelle ma altro. Infatti, la sua grande forza propulsiva è stata soprattutto la possibilità offerta a tante persone di poter rappresentare i cittadini in parlamento. Gli elettori sono stati privati della possibilità di scegliere un candidato in positivo o in negativo, perché le leggi elettorali, con i listini bloccati e pluricandidature, hanno di fatto delegato ai leader di partito la scelta di chi fosse eletto in parlamento. I parlamentari dovrebbero rappresentare la comunità che li ha votati, non il singolo leader. È chiaro che il meccanismo vigente al momento porta invece a eleggere persone che siano fedeli ai leader, piuttosto che leali verso la comunità.
Fino ad adesso il Movimento è stato diverso. Per questo è stato scelto da così tante persone.
In questo quadro, la regola dei due mandati è fondamentale come argine verso chi acquisisce giustamente visibilità come parlamentare e poi la usa per scopi personali, cioè per rimanere nella politica a vita o peggio per eliminare qualsiasi altro candidato valido che possa oscurare i “vecchi”. Soprattutto, il limite dei due mandati permette di far emergere sempre persone capaci con motivazioni nuove dalla comunità del Movimento, evitando di accentrare i potere nelle mani di pochi. Inoltre, chiunque si sia candidato per il Movimento ha firmato una dichiarazione con la quale ha promesso di rispettare questo impegno sui due mandati.
Che credibilità potrebbe avere una persona che viola apertamente gli impegni che ha preso già due volte? Come potrebbe essere credibile e differente dalle altre una forza politica che ha sempre combattuto contro i privilegi, poi cambia le proprie regole per compiacere pochi?
L’astio di moltissimi parlamentari verso Beppe Grillo esplose con una riunione on-line nel 2021. In quell’occasione Grillo pronunciò le seguenti parole: “Vi prego di non mettere in discussione quello che è un pilastro del Movimento, cioè la regola dei due mandati”. È da qui che è iniziato un malumore diffuso verso il Garante, non certo a causa del Governo Draghi come qualcuno vorrebbe far credere. Personalmente, il governo Draghi non è piaciuto affatto, ma il bene dei cittadini si fa prendendo scelte difficili, non le scelte che ci piacciono al momento. Vorrei ricordare anche l’appello di grande responsabilità che ci fu rivolto allora dal Presidente Conte: “non si possono voltare le spalle al Paese”.
Ricordiamo che l’entrata di M5S nel governo Draghi è stata decisa dagli iscritti, che hanno valutato pro e contro, e che la votazione finì quasi in parità (60%-40%). Qualcuno mi dirà che le parole di Beppe Grillo su “Draghi un po’ grillino” hanno potuto influenzare l’esito di quella votazione. Probabile. Tuttavia, chi addossa solo a Beppe Grillo l’onere di quella scelta sta indirettamente offendendo gli iscritti del Movimento ipotizzando che siano degli sciocchi influenzabili.
E visto che ci siamo, chiariamo anche un altro aspetto: i ministri non sono stati scelti dai leader politici, ma dallo stesso Draghi. Beppe Grillo aveva indicato come ministra per la transizione ecologica una persona eccezionale come Catia Bastioli, ideatrice della bioplastica “mater B” e amministratrice delegata di Novamont, che ha rinunciato per motivi personali. Quindi, per dare a Beppe quello che è di Beppe, lo possiamo anche biasimare per la battuta “Draghi un po’ grillino” ma non certo per il “Cingolani grillino” (cosa che tra l’altro non ha mai pronunciato), scelta sulla quale tanti parlamentari come me avevano forti dubbi.
Negli Stati Generali del MoVimento nel 2020 la “democrazia partecipativa” degli iscritti aveva già proposto di affrontare il tema della regola dei due mandati. È stata già (giustamente) superata, ma esclusivamente per le candidature negli enti locali. I consiglieri comunali, anche in comuni con decine di migliaia di abitanti, ricevono per un impegno gravoso poche centinaia di euro. Tra l’altro, a chi non ha alcuna esperienza politica è molto utile un’esperienza propedeutica negli enti locali prima di entrare in parlamento. In quella stessa assise, la stragrande maggioranza degli interventi fu di tono nettamente contrario a toccare la regola dei due mandati a livello parlamentare. Ha senso riproporre questa discussione ora?
Beppe Grillo è il garante del Movimento. Cioè il custode di regole, valori e principi. Ma davvero il garante dovrebbe stare zitto quando si pensa di intervenire sulle regole fondative del Movimento? Davvero qualcuno pensa che assecondare l’umanamente comprensibile ambizione di alcuni verso il terzo mandato (che diventerebbe poi un quarto o un quinto…) possa essere la soluzione per risollevare il Movimento? Una comunità è sana se tutte tutti sono importanti ma nessuno è indispensabile.
Il Movimento 5 Stelle è una forza importante per il paese che, se reso irrilevante, causerebbe un danno incalcolabile. Spero davvero che la nostra comunità sappia prendere la decisione migliore non soltanto in termini di consenso, ma anche soprattutto in termini di etica della politica.
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