Le città non sono cortili di caserme: il caso di Siena
Forse dovremmo fermarci a ragionare su cosa sia il decoro. A me, ad esempio, non pare decoroso che tutto l’ingegno dei nostri avi, tutto il loro amore per la bellezza e l’armonia, tutta la loro capacità di cambiare le cose senza offendere i luoghi e le persone, tutto il loro rispetto per ciò che è al servizio di tutti finisca in due file di tavolini concesse ad un privato come è appena avvenuto davanti a uno dei più bei palazzi rinascimentali di Siena, palazzo Piccolomini.
Potremmo trovarci di fronte al paradosso di veder multare chi si sia seduto sui bancali di marmo da mangiare gratis un panino mentre a pochi metri sarà concesso consumare a pagamento in una fila di tavoli con ombrelloni che peraltro ne tagliano la facciata e impediscono la vista. Nelle nostre città sta crescendo una idea di possesso solo materiale. Il possesso non è la stessa cosa della proprietà. Non ci accorgiamo che stiamo togliendo la città a tutti in cambio di quattrini per pochi?
Camminare e sedersi sono azioni che non possono essere separate, perché la prima crea un dispendio di energia che può essere recuperato solo con la seconda.
Sono “tecniche del riposo” nella condizione di veglia, studiate dagli antropologi studiate da tutti gli antropologi e comuni a un gran numero di individui, a intere famiglie di popoli, basti semplicemente ricordare che i romani mangiavano sdraiati gli orientali si riposano accoccolati. Queste tecniche di riposo non possono essere separate (quindi escluse o vietate) dall’atto del camminare, se non con una forzatura di natura prettamente convenzionale o di politica dell’apparire quale, ad esempio, quella che proibisce alle reclute del corpo dei bersaglieri di traversare il cortile della caserma in altri modi che non correndo.
Ma Siena non è una caserma. Le città non sono caserme. E allora sedersi non può essere impedito senza ledere un fondamentale diritto connesso all’essere semplicemente umani. Nessuno può impedirci di sentire; nessuno può impedirci di vedere; nessuno può impedirci di sospendere una camminata per concederci una sosta, non fosse altro che per il fatto che sedersi può essere reso indispensabile da un improvviso calo di energie. Perché di verità permanenti e sicure ce n’è una sola: che le città sono abitate da corpi differenti, non da corpi tutti uguali, e hanno bisogni fisici, e non solo fisici, diversi.
A Siena, peraltro, come in vari altri centri storici mancano le panchine o sono pochissime. Ma non è tutto lì il problema perché sedersi è un’azione che impegna per il tempo necessario a riposare dopo aver girovagato ma anche a contemplare un paesaggio, a socializzare o anche, perché no, a farsi un selfie o mandare un messaggio whatsapp. La fruizione di un luogo carico di valore, estetico, simbolico, quale per esempio a Siena la piazza del Campo, può avvenire anche in una modalità più contemplativa, che consiste nel prendere contatto con il suo suolo, godendo di una prospettiva –che è la stessa di quella dei bambini – capace di dare alla cerchia dei palazzi e alla volta celeste che abbiamo sopra la nostra testa la concretezza di un’esperienza sensoriale. Quando la guardiamo da quella prospettiva abbiamo l’impressione che sulla piazza ci sia un soffitto che ha lo stesso blu meraviglioso di quello dipinto da Ambrogio Lorenzetti sulla città.
Sedersi, e farlo ad esempio in un luogo carico di senso quale piazza del Campo, non produce inciampi a nessuno, non intralcia il traffico, rientra tra le potenzialità elementarmente umane. Certo, campeggi improvvisati e bivacchi, quelli sì, possono causare problemi di decoro urbano, sporcare e danneggiare il patrimonio. Eppure c’è la necessità di provare a cercare un minimo comun denominatore, quell’area dove i diversi modi di intendere la bellezza dei luoghi si sovrappongono, così da bilanciare con misura la fruibilità dei beni comuni con una conservazione e il decoro. Questo è uno dei compiti principali di chi governa
A meno che, appunto, la logica non sia quella di orientare delle masse di turisti verso gli esercizi commerciali, ai quali le città overturistizzate hanno già pagato rilevanti dividenti, non fosse altro perché lo stesso divieto incomberebbe anche sulla cittadinanza che ha da sempre vissuto la piazza nelle modalità liberamente preferite e segnate affettivamente. Uno dei ricordi più belli della mia giovinezza sono le chiacchierate estive seduti in piazza, con o senza chitarra, con o senza panino, e sugli scalini delle chiese e dei negozi chiusi. Erano momenti in cui sono stata fiera della mia città e felice di viverci. Solo chi non ricordi di questo tipo può pensare alla piazza come a un luogo da traversare, il più in fretta possibile. Se non vi è mai capitato di darvi un bacio, seduti in piazza o su uno scalino, avete perso qualcosa.
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