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La guerra dei 50 anni tra lo “Stato di Giudea” e Israele

L’assalto squadrista al carcere in cui erano detenuti nove soldati israeliani accusati di tortura e stupro verso un prigioniero palestinese, non è un fatto isolato, condotto da un manipolo di “folli estremisti”

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L’assalto squadrista al carcere in cui erano detenuti nove soldati israeliani accusati di tortura e stupro verso un prigioniero palestinese, non è un fatto isolato, condotto da un manipolo di “folli estremisti”. Questa è una lettura consolatoria, che non fa i conti che tra gli assaltatori c’erano parlamentari che fanno parte della maggioranza che governa oggi Israele, e che a plaudire per la bravata sono stati anche ministri del governo in carica.

La guerra dei cinquant’anni

Di quale guerra si tratti lo spiega molto bene, su Haaretz, Nehemia Shtrasler.

Annota Shtrasler: “Non si è trattato di un semplice attacco da parte di criminali a due basi dell’Idf. Si è trattato di un’altra battaglia nella nostra guerra cinquantennale tra il Regno di Giudea e lo Stato di Israele. Gli abitanti della Giudea, i coloni, gli ultranazionalisti Haredi e i kahanisti stanno cercando di conquistare Israele e di trasformarlo da un paese liberale, moderato e avanzato in un paese radicale, religioso e messianico che odia il mondo intero. E c’è il rischio che ci riescano.

La guerra tra Giudea e Israele è iniziata nel 1974, quando il Gush Emunim ha iniziato a creare insediamenti con le buone o con le cattive in opposizione al governo laburista. I leader del Gush Emunim, Hanan Porat e Moshe Levinger, cambiarono il volto del paese. Da alcuni piccoli insediamenti in Samaria, nel corso degli anni sono cresciuti centinaia di insediamenti in tutta la Cisgiordania, che ora è molto difficile rimuovere in cambio di un accordo.

Siamo ora nella seconda fase della guerra. Gli eredi di Gush Emunim stanno cercando di prendere il controllo dei sistemi di governo. Lo abbiamo visto con il colpo di stato giudiziario del 2023, il cui obiettivo era liquidare l’indipendenza della magistratura e trasformarla in un braccio del governo, in modo che i tribunali non potessero interrompere la transizione dalla democrazia alla dittatura, compresa l’annessione. C’è chi si consola pensando che alle prossime elezioni Benjamin Netanyahu sarà sostituito e Israele si salverà. Ma chi di noi può garantire che il Likud e Netanyahu accetteranno i risultati delle elezioni? Guarda cosa è successo quando Donald Trump ha perso le elezioni del 2020: i suoi sostenitori hanno preso d’assalto Capitol Hill e hanno quasi compiuto un colpo di stato. E guarda le tempestose manifestazioni scoppiate questa settimana in Venezuela, perché il presidente in carica, Nicolás Maduro, ha dichiarato di aver vinto le elezioni, che in realtà ha perso.

Negli ultimi anni la destra radicale ha imparato che per fare ciò che vuole deve prendere il controllo delle due forze di sicurezza che detengono il potere: l’esercito e la polizia. Per questo motivo attaccano il capo di stato maggiore dell’IDF e chiedono la sua sostituzione con ogni tipo di false affermazioni che provengono da uomini che non hanno mai prestato servizio nell’esercito: l’MK Tzvi Sukkot e il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir. Non è una coincidenza che gli uomini che hanno fatto irruzione nelle basi dell’Idf abbiano gridato “Herzi go home” (Herzl Halevi, il capo di stato maggiore dell’Idf) e “Death to the courts”. Hanno anche urlato “Arrestate il procuratore capo dell’Idf pro-Nakhba”; il loro obiettivo è quello di sostituirlo con uno dei loro, qualcuno che interrompa la pratica offensiva di incriminare chi maltratta i prigionieri.

Se un giorno riusciranno a nominare uno dei loro capi di stato maggiore, l’Idf diventerà il loro appaltatore, proprio come la polizia è diventata l’appaltatore del governo. Non è una coincidenza che la polizia non sia arrivata in tempo per disperdere i rivoltosi nelle due basi. Gli agenti di polizia hanno capito che per essere promossi devono compiacere il ministro, il pregiudicato Ben-Gvir.

Va inoltre sottolineato che alcuni dei rivoltosi erano mascherati e armati, e non mi stupirei se si trattasse di armi ricevute durante la recente grande distribuzione di Ben-Gvir a molte persone nei territori. Le armi distribuite nell’atto iniziale spareranno nell’atto finale. E il sangue sarà quello del popolo dello Stato di Israele.

Il popolo del Regno di Giudea non è commosso dalla guerra del 7 ottobre. La minaccia di guerra contro Hezbollah, Iran e Turchia è per loro un segnale positivo. Le considerano un prequel dell’Armageddon, che permetterà loro di annettere l’intera Cisgiordania, espellere tutti gli arabi e conquistare tutta la “terra promessa” dal Nilo all’Eufrate.

Queste persone pericolose, deliranti e messianiche che ci stanno portando alla distruzione del Terzo Tempio sono state portate al governo, per la prima volta nella nostra storia, dall’uomo più spregevole della storia del popolo ebraico”.

Moderati nel governo cercasi

Rimarca, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, Carolina Landsmann: “Israele sta correndo in discesa e non ci sono freni interni abbastanza forti per fermarlo. Nell’intero governo, solo due persone stanno cercando di arrestare la discesa.

Uno è il ministro della Difesa Yoav Gallant, l’unica persona del partito Likud che agisce in base a un senso di responsabilità generale per il paese e per tutti i suoi cittadini e che sta cercando di fermare l’estrema destra e il suo utile idiota, il Primo ministro Benjamin Netanyahu. L’altro è il ministro degli Interni Moshe Arbel del partito Shas. Questo non è affatto sufficiente.

La guerra non ha mai salvato i bambini. La maggior parte dei drusi dice di non volere che la loro tragedia provochi altre uccisioni”.

Il momento in cui una folla, accompagnata da membri della Knesset, ha fatto irruzione in una base militare è stato il momento in cui è stata superata una linea rossa. E come ogni linea rossa, una volta superata viene lasciata alle spalle e ciò che prima era fuori dai limiti entra nel repertorio delle azioni legittime di chi l’ha superata. Di conseguenza, non è affatto sorprendente che più tardi, quello stesso giorno, i manifestanti abbiano fatto irruzione con violenza in una seconda base militare.

Tra tutti i resoconti che ho letto sull’assalto alle basi, quello che mi ha davvero colpito è stato quello di un soldato del centro di detenzione Sde Teiman, dove sono detenuti i palestinesi di Gaza. Ecco cosa ha detto a proposito delle decine di manifestanti che si aggiravano all’interno della base senza lasciare spazio o ostacoli e che cercavano la prigione:

“La sicurezza della base non sapeva cosa fare. Ci sono alcuni agenti della polizia militare che cercano di fare da cuscinetto, e questo è tutto. Non ci sono forze organizzate qui, la maggior parte dei soldati osserva in disparte. Al momento non c’è nessuna forza di sicurezza che si occupi di loro e nessun ufficiale superiore che gestisca l’incidente. Hanno perso il controllo”.

Questo mi ha ricordato le scene dei gazawi all’interno dei kibbutzim il 7 ottobre – non le scene terrificanti di sparatorie e violenze, ma quelle senza violenza, in cui si vedevano le persone aggirarsi per i kibbutzim senza lasciare spazio o ostacoli, andando in bicicletta, saccheggiando allegramente, scattando selfie e chiacchierando, e l’orrore del fatto che non c’era nessuno a fermarli, che il kibbutz era ormai loro, che non c’era nessuna legge, nessuna Forza di Difesa Israeliana, nessuna recinzione di confine, nessuno Stato di Israele, niente.

E in effetti, in un video incorporato nell’articolo che citava quel soldato, si vedono i dimostranti aggirarsi con sicurezza intorno alla base in cui hanno fatto irruzione, senza che nessuna forza militare li fermasse. In quei momenti, non c’era legge. Non c’era l’Idf. Non c’erano forze di polizia. Non c’era lo Stato di Israele. Potevano fare quello che volevano.

Hanno preso la legge nelle loro mani. Erano la legge. E se avessero trovato qualcuno dei palestinesi detenuti a Sde Teiman, non ci vuole molto sforzo per immaginare come li avrebbero trattati.

L’energia di coloro che hanno fatto irruzione nelle basi dell’Idf era l’energia di un linciaggio. Quando l’energia di un linciaggio raggiunge il punto di ebollizione, ha lo stesso aspetto e lo stesso comportamento.

Da questo punto di vista, non c’è alcuna differenza tra il branco di bianchi americani del Mississippi che inseguiva i neri e li impiccava agli alberi e il branco di ucraini che dava la caccia agli ebrei con bastoni e mazze per picchiarli, violentarli e ucciderli.

Non c’è nulla di spontaneo in questa energia. Sembra provenire dal basso, ma a liberarla è stato il governo guidato da Benjamin Netanyahu, attraverso un lungo processo in cui ha deliberatamente minato l’autorità del sistema giudiziario, dell’Idf e di ogni altra struttura di potere. Prima dichiarano il sangue a buon mercato, poi la folla esegue il linciaggio. Prima minano la fortezza, poi la folla la assale e la abbatte.

L’energia che si è sprigionata non si spegnerà da sola. Continuerà a riscaldarsi e a contagiare gli altri, come una piaga.

Le centinaia diventeranno migliaia e più il numero aumenta, più si libereranno delle loro inibizioni interne, una dopo l’altra, fino a diventare una gigantesca bestia a caccia di prede per le strade. E le strade sono piene di prede: l’avvocato generale dell’esercito, il procuratore generale, i procuratori, gli arabi, i militanti di sinistra, i manifestanti antigovernativi, i giudici, i giornalisti e chiunque altro si metta sulla loro strada”.

Le conclusioni di Landsmann danno conto del pericolo “nero” che sta minando dall’interno Israele, il suo sistema democratico, l’identità stessa della nazione. È lo squadrismo che si fa stato, è il Regno di Giudea che s’impossessa, attraverso i coloni in armi, della Cisgiordania. È l’odio verso l’altro da sé domina ogni dichiarazione, ogni azione della destra estrema. Estrema in tutto. 

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