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Il punk rock del trio La Sad arriva in Friuli per la prima volta, anche in versione band

Il punk rock del trio La Sad arriva in Friuli per la prima volta, anche in versione band

foto da Quotidiani locali

UDINE. «Daghe!» è la prima parola, e anche l’ultima, che urla con entusiasmo Fiks dei La Sad raggiunto al telefono. Se a Roma hanno il “daje” come incoraggiamento, saluto, intercalare a Nord Est teniamoci stretto il “daghe”.

L’ha portato anche sul palco dell’ultimo Sanremo, in gara con la canzone “Autodistruttivo”, «promuoviamo il daghe nel mondo! – aggiunge – l’ho anche tatuato sulla pancia». E lo portano al Castello di Udine sabato 3 agosto alle 21.30 per l’unica data in regione (per la prima volta in Friuli) del loro “Summersad Tour 2024”, incentrato sul secondo album “Odio La Sad”, (dove hanno duettato con Rettore, Articolo 31, Rose Villain, Pinguini Tattici Nucleari).

Apre il concerto la band folk rock friulana dei Cinque Uomini sulla Cassa del Morto.

Fiks, lei è veneto. Gli altri due componenti?

«Theø lombardo, Plant pugliese. Ci siamo conosciuti a Milano, dove abbiamo deciso di vivere per fare musica, durante il Covid ci siamo chiusi in casa, da lì è nato il primo disco. Ognuno aveva il suo percorso, abbastanza simile. Theø un po’ più malinconico, Plant trap e io più estremo, ma mettendoci insieme, gli equilibri di ciascuno hanno fatto nascere La Sad».

Oltre a voi tre cantanti dal vivo chi si aggiunge?

«Il chitarrista Moka e il batterista Bessone Junior. Ora siamo una band a tutti gli effetti».

Siete in tour da un po’: che pubblico avete incontrato in giro per l’Italia?

«Dopo Sanremo il pubblico si è ampliato tantissimo. Una volta nelle prime file c’erano persone che pogavano, adesso abbiamo anche qualche padre con i figlioletti, giovanissimi… la fascia d’età si è allargata. Ci sono sempre le vecchie glorie, i fans della prima ora che non abbiamo tradito. Ma è bellissimo vedere i più piccoli, che spesso sono quelli che tentano di emularci nel look. Ci sono i mini Fiks, mini Theø, mini Plant con la cresta, il trucco e i genitori fieri che ce li presentano. Per i bambini siamo davvero dei supereroi, quando ci vedono dal vivo non ci credono che esistiamo davvero, pensano che siamo dei cartoni animati, dei videogiochi».

Il punk è un genere vasto, dai Sex Pistols e i Clash, passando per i Ramones fino ai Green Day. È soprattutto un’attitudine?

«Esattamente, ciò che unisce questi gruppi diversissimi è il mood, il dimostrare alla loro maniera quello che erano. Noi siamo liberi e mandiamo il nostro messaggio in maniera molto forte, senza paura: per me questo è essere punk».

È vero che vi hanno detto di aver “venduto l’anima per vendere i dischi”?

«Ce lo dicono. Ma ci dicono anche di peggio, siamo considerati diversi da questa società retrograda. Subiamo tante discriminazioni. L’Italia è un paese che va solo all’indietro, è super bacchettone. Da Sanremo in poi cerchiamo di cambiare le menti di questi italiani, c’è chi si sta aprendo e capisce il nostro viaggio, altri continuano a vivere con i paraocchi».

“Sta generazione è la più triste che c’è”, cantate. Come mai?

«Una volta c’era più voglia di ribellione, adesso i social spingono a ostentare cos’è bello ma spesso finto».

Portate l’anarchia sui palchi: come la intendete?

«Libertà di esprimersi, fare quello che vogliamo in un luogo protetto come i nostri concerti, dove ci si può divertire nel rispetto degli altri».

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