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La Pescheria di Venezia stritolata dai turisti: «Senza l’ok al cibo da asporto chiudiamo»

La Pescheria di Venezia stritolata dai turisti:
«Senza l’ok al cibo da asporto chiudiamo»

foto da Quotidiani locali

Uno dei pescivendoli storici di Rialto, Andrea Vio, da mezzo secolo dietro al banco, va dritto al punto: «Avanti così, questo mercato muore. Potremmo sopravvivere se ci fosse la possibilità di vendere sarde in saor pret-a-porter o il risotto espresso con un bicchiere di vino. Un pasto veloce anche solo per quelle comitive di turisti che sono qui dalle 7 del mattino». Come del resto accade in quasi tutte le città italiane ed europee, da Barcellona a Parigi, da Londra a Palermo.

Gli operatori di Rialto sono sconfortati: il mercato è diventato un luogo da Instagram, il popolare social dalle foto spettacolari. E le promesse di una riqualificazione appaiono lontane. «Dov’è il mercato di Rialto?» chiedono i turisti, in cerca non tanto di acquisti quanto di foto iconiche.

Una volta arrivati in Pescheria, è semplicemente una caccia allo scatto perfetto, quello artistico e “acchiappalike”: naturalmente, la maggior parte non è minimamente interessata ai prodotti venduti all’interno. I turisti dormono in albergo o nelle locazioni turistiche, cenano in ristorante e non avrebbe senso acquistare del pesce. Chi visita il mercato di Rialto lo fa semplicemente per scattare foto, non per fare acquisti. Preferisce i tanti souvenir disponibili in zona.

Per questo tra i banchi del pesce serpeggia una esasperazione che è un grido d’allarme: «Abbiamo toccato il fondo». È una lotta per la vita quella mercato di Rialto, schiacciato dalla grande distribuzione, aggravato dai vincoli delle normative e dal progressivo svanire della popolazione residente, oltre alla parallela scomparsa di qualunque attività non richiesta dai turisti.

Basterebbero le dita di una mano per contarli, infatti, i veneziani mattinieri che arrivano al mercato per esplorare i banchi di pesce, frutta e verdura. Ce ne sono sempre meno, e i flussi di visitatori sempre più debordanti. Quelli, come abbiamo detto, che al mercato non fanno acquisti. La vivacità degli anni d’oro resta un ricordo, oggi i superstiti al Mercato sono drasticamente scesi: appena sei banchi e tre negozi di pesce.

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«Ai tempi, le strutture in marmo - oggi rimpiazzate con fabbricati per lo più metallici - contenevano frutta e verdura per ogni gusto, e infinite vasche di pescato. Una realtà effervescente, ricca di colori e di angoli speciali» racconta Gianni Donaggio, tra i venditori storici ancora resistenti, mettendo in mostra una foto che ritrae, nel 1945, il mercato secolare sotto la cui ombra si affollavano venditori e tantissimi uomini e donne affaccendati nella spesa. Ora, di clienti, non c’è traccia. «Il crollo è arrivato con lo spopolamento del centro e il turista non colma l’esodo dei veneziani» spiega Dario Naccari, operatore in Pescheria. Per non parlare dell’aumento dei costi di gestione: a fine mercato la pulizia del sito dev’essere impeccabile e «l'affitto del magazzino-deposito si aggira attorno ai mille euro al mese».

Ogni giorno frotte di turisti si aggirano tra i colori di frutta e verdura, tra i profumi e gli aromi delle spezie (sì, perché ormai non si esita a esporre spezie confezionate e ben poco pertinenti alla tradizione locale), lasciandosi trasportare dall’atmosfera popolare. Bellissimo, ma quel che manca è la sostenibilità economica per gli operatori: «È un mercato fuori dai circuiti di gastronomia nazionali ed europei» ripetono i commercianti che vogliono fare del sito un emporio dove fare la spesa e insieme assaggiare i prodotti locali, cucinati sul posto da chi li vende nei suoi banchi di fresco.

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