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L’uomo e la vetta. 31 luglio ’54, settant’anni fa l’impresa italiana del K2. Epica nazionale di un trionfo

In senso figurato l’Italia, nella sua storia secolare che precede anche l’unità politica, è salita sul tetto del mondo innumerevoli volte. Ma in senso letterale l’Italia è salita – più o meno – sul tetto del mondo per la prima volta settant’anni fa, esattamente nella notte tra il 30 e il 31 luglio del 1954. […]

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In senso figurato l’Italia, nella sua storia secolare che precede anche l’unità politica, è salita sul tetto del mondo innumerevoli volte. Ma in senso letterale l’Italia è salita – più o meno – sul tetto del mondo per la prima volta settant’anni fa, esattamente nella notte tra il 30 e il 31 luglio del 1954. Tra ghiaccio, neve e terribili folate di vento, in quella notte gloriosa Achille Compagnoni e Lino Lacedelli piantarono il tricolore sulla cima leggendaria del K2, 8 mila e 611 metri d’altezza, la seconda vetta più alta del mondo dopo l’Everest ma la più impervia da raggiungere. Furono i primi a compiere cotanta impresa.

L’accordo Pakistan-Italia

Questa storia carica di pathos inizia almeno un anno prima. Il 19 giugno 1953 Muhammad Ali Bogra, allora presidente del Pakistan, giunge in missione a Roma per stipulare con il Governo italiano guidato da Alcide De Gasperi una serie di accordi di supporto infrastrutturale e architettonico dell’Italia al suo Paese. Come contropartita, il rappresentante pakistano concede a Roma “il permesso per una piccola spedizione preliminare e per una spedizione sul Baltoro (K2)” per l’anno successivo offrendo supporto logistico. La firma nero su bianco è immediatamente seguita dalle attività, affidate all’esperto esploratore Ardito Desio, per organizzare l’impresa. Desio assembla una squadra di tredici alpinisti che rispondono a requisiti non solo di esperienza alpinistica, ma anche attitudinali e medici.

La scalata

È il 20 aprile 1954 quando il gruppo guidato da Desio parte per il Pakistan. Mentre l’Italia sta iniziando faticosamente a risollevarsi dalle macerie della seconda guerra mondiale, da Ciampino si solleva l’aereo che condurrà la squadra degli alpinisti e di quattro ricercatori verso forse la più formidabile conquista alpinistica della storia. Tra loro, il più giovane del gruppo è un ventiquattrenne destinato a diventare in futuro un simbolo dell’alpinismo italiano e internazionale: il brianzolo Walter Bonatti. Il piano messo a punto da Desio è scrupolosissimo e gode del supporto di dieci alpinisti locali. Durante la scalata non mancano momenti di difficoltà. Il 21 giugno muore, a causa di un edema polmonare da alta quota, uno dei partecipanti, Mario Puchoz, valdostano inquadrato nel corpo degli Alpini che qualche anno prima aveva partecipato alla campagna di Russia. Il lutto colpisce la spedizione e inevitabilmente ne risente il morale. Arriva però il momento dell’attacco alla vetta e stavolta un altro ostacolo sembra frapporsi tra gli alpinisti e il loro obiettivo: il meteo. Il maltempo, infatti, rallenta le operazioni di allestimento dei campi base. Occorre dunque attendere ancora un po’, attendere che Eolo e Chione siano più clementi prima di effettuare l’assalto finale.

Epica nazionale di un trionfo

La scelta di Desio sui due alpinisti che devono lanciare l’ultimo guanto di sfida al cielo cade su Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Gli altri componenti della spedizione – almeno nell’immaginario collettivo puntualmente descritto da Dino Buzzati sul Corriere della Sera – assistono come “un esercito schierato in profondità per la battaglia decisiva”. Più si sale, più i passi dei due si fanno pesanti. La volontà è però più forte delle intemperie. In una notte di fine luglio eccoli giungere all’agognata sommità. Il tricolore sventola sulla cima del K2. Nessuna altra bandiera nazionale aveva mai garrito lassù. L’Italia, nazione piccola eppure immensa, si appresta così a diventare, ancora una volta nella storia, un gagliardo e mirabile esempio. Un trionfo italiano che non va ascritto soltanto alla materia dell’alpinismo, ma all’epica nazionale.

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