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Canzonavano i pazienti alla casa di riposo di San Donà, Oss reintegrate. E’ polemica

Reintegro del giudice del lavoro per due operatrici sociosanitarie coinvolte nei maltrattamenti alla casa di riposo di San Donà. Genny Trevisiol e Maria Rosa De Piccoli potranno rientrare al lavoro e dovranno essere risarcite anche in termini di indennità e Tfr.

Lo ha stabilito il giudice considerando la loro posizione non tanto grave da giustificare il licenziamento in tronco. Ora Isvo Srl, impresa sociosanitaria del Veneto orientale, potrebbe fare ricorso così come chiede a gran forza il sindaco di San Donà, Alberto Teso.

Il caso giudiziario

Sul tavolo una partita giudiziaria iniziata nel 2022 che vede condannati 5 operatori socio sanitari dell’Rsa “Monumento ai caduti di tutte le guerre”, accusati dalla Procura di Venezia - pur con responsabilità diverse - di aver trasformato il “reparto viola” dell’istituto in una corsia degli orrori.

Dopo le indagini dei carabinieri le condanne totali sono state per quasi 24 anni. Negata la perizia psichiatrica chiesta dai legali per Davide Barresi, l’operatore 54enne accusato di violenze sessuali alle anziane. Tutti condannati i 5 operatori socio sanitari accusati di ripetute violenze sessuali ai danni di anziane incapaci di reagire, vessazioni agli ospiti, schiaffi, insulti, pugni.

Dopo quattro udienze in aula bunker a Mestre la sentenza di condanna, ha ridotto le richieste del pm che aveva chiesto un totale di 38 anni.

Tutte pene che hanno potuto beneficiare dello sconto per il rito abbreviato. Sono 8 gli anni di reclusione inflitti in primo grado a Barresi. 6 anni a Fabio Danieli e a 5 anni la compagna e collega Maria Grazia Badalamenti, la “coppia terribile” per i maltrattamenti. Infine, condannate a 2 anni e 4 mesi Anna Pollazzon e Mergie Rosiglioni. Tra le parti civili che si sono costituite la Regione, l’Usl 4 Veneto Orientale, l’Isvo (chiesti 500 mila euro) e il Comune di San Donà.

Sotto accusa erano finite anche altre 4 operatrici che avevano avanzato richiesta di patteggiamento, la cui posizione è limitata all’accusa di minacce: Tiziana Re, di San Donà, imputata di un solo episodio di minacce e percosse, Maria Rosa De Piccoli, Genny Trevisiol e Rita Esposito di Musile.

Il reintegro delle Oss

Il licenziamento di Trevisiol è conseguente alla contestazione mossa da Isvo alla dipendente, ritenuta responsabile di comportamenti minacciosi e ingiuriosi nei confronti dei pazienti della casa di riposo. La lavoratrice in questione tra l’altro ha già patteggiato in sede penale per il reato di minacce nei confronti degli ospiti della struttura.

Ma ha impugnato il licenziamento chiedendo il reintegro sul posto di lavoro. Richiesta accolta dal giudice, che ha ritenuto il comportamento della lavoratrice sì grave, ma non tale da giustificare il licenziamento in tronco.

«Stupisce in particolare», commenta il sindaco Alberto Teso, «il passaggio in cui il giudice scrive che la condotta tenuta dalla lavoratrice non ha natura di minaccia, ma piuttosto un carattere “canzonatorio”. Nel senso che, in sostanza, le due si limitavano a prendere in giro e deridere una donna anziana, da poco picchiata dal loro collega, bisognosa d’aiuto e impaurita. La qual cosa consentirebbe la prosecuzione dell’attività di assistenza nella casa di riposo. Una decisione inaccettabile e contro la quale, nel rispetto dell’autonomia decisionale di Isvo, io farò quanto in mio potere perché queste persone non si facciano più vedere nella nostra struttura».

Nell’episodio accaduto il giorno 13 novembre del 2022 alle 8.26 del mattino, ad esempio, le due operatrici dovevano provvedere all’igiene personale della signora S., anziana e non autosufficiente.

L’anziana si lamentava per i dolori dovuti alle percosse ricevute e non riusciva ad essere collaborativa: le due iniziavano a minacciarla, addirittura, una di esse, «di chiamare il collega Fabio Danieli quello che ti mena», mimando il gesto con la mano destra. Alla richiesta, pietosa, dell’anziana di chiamare i familiari l’operatrice «la sbeffeggiava con la collega invitandola ad informare i parenti, ma facendole credere che tanto era malata di mente».

Il Comune contro la scelta

«Il tutto documentato dalle videoregistrazioni dei carabinieri», conclude Teso, «tutto questo non costituirebbe minaccia, ma semplice canzonatura, che non giustifica il licenziamento. Prima di prendere qualsiasi decisione, ognuno dovrebbe porsi una semplice domanda: se quella donne fosse stata la propria mamma?».

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