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Il libro. Uccidi, Chuck uccidi. Il ritorno (per ora) di Palahniuk. La lettura come terapia d’urto

78 101 108 32 99 117 108 111 44 32 111 118 118 105 97 109 101 110 116 101 33. “Nel culo, ovviamente!”. Allucinato, allusivo, arrapato, avvinghiato alla vita. Andiamo dritti al sodo, il nuovo romanzo di Chuck Palahniuk Non per sempre, ma per ora (312 pp.; 19,00€), pubblicato nella collana Strade blu da […]

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78 101 108 32 99 117 108 111 44 32 111 118 118 105 97 109 101 110 116 101 33. “Nel culo, ovviamente!”. Allucinato, allusivo, arrapato, avvinghiato alla vita. Andiamo dritti al sodo, il nuovo romanzo di Chuck Palahniuk Non per sempre, ma per ora (312 pp.; 19,00€), pubblicato nella collana Strade blu da Mondadori – con la traduzione di Gianni Pannofino – è il campionario dello scrittore di Pasco all’enne potenza. Oltre a incisi in greco, latino e sanscrito alcuni dialoghi, come quello riportato all’inizio dell’articolo, vengono scritti con sequenze di numeri. I protagonisti del volume sono due fratelli Otto e Cecil, quest’ultimo la voce narrante, cresciuti nella rigogliosa campagna del Galles. Guardano documentari, fanno sesso tra di loro, ma soprattutto ammazzano il tempo ammazzando. Come recita la sinossi “l’omicidio è il business di famiglia. Mica siamo a Downton Abbey, qui”. Otto come passatempo scrive a serial killer in cella cercando un fremito, un eccitazione, ma soprattutto sfidandoli. E quest’ultimi sono ghiotti di sfide e non perdono l’occasione, l’uno dopo l’altro di presentarsi alla porta dei due. Senza dimenticare che dietro quell’uscio ci sono anche Mamma, Nonno e servitù appressa. Il tutto con un Papà scomparso durante una passeggiata con la consorte, nella “foresta fantasma”, e che non ritorna mai, proprio mai.

“Nessuno, all’inferno, soffre più del diavolo”. La mente e la penna dietro a Fight Club, giri la pagina del quotidiano chi non ha amato vedere Edward Norton disintegrare a pugni il volto di Jared Leto, ha messo assieme una coppia di consanguinei decisamente su di giri come il duo di fratelli Gecko al centro della pellicola Dal tramonto all’alba. Ecco lì almeno Seth, interpretato dall’ormai impegnato consigliere/spin doctor democratico George Clooney, cercava in qualche modo di far mantenere la calma al sodale Richard, sempre Gecko, montato sul corpo di Quentin Tarantino. In queste pagine nessuno mette freno a nessuno. Anche se forse le ambientazioni sono più da The Gentlemen serie prodotta dalla piattaforma streaming Netflix e data in pasto al pubblico quest’anno. Otto come Edward “Eddie” Horniman e Cecil come Susan “Susie” Glass? No, i conti questa volta non tornano. Ma le atmosfere certamente. La tendenza del narratore è sempre la stessa, quello che lo muove fin dai tempi di Diary: “Tutti quanti moriamo. L’obiettivo non è quello di vivere in eterno, ma di creare qualcosa che lo faccia al posto nostro”. Cadiamo, quindi, nella spirale di una narrazione che punta a irridere la società che ci circonda con lo stilema dello splatter.

“Ogni puttana porta all’inferno tutti gli uomini che l’hanno penetrata, puoi starne certo”. I dialoghi sono il teatro dell’assurdo. Una conversazione tra padre e figlio, dove il figlio, Otto ancora lui, segna la via del bene e del male. Ma di manicheo qui non c’è proprio nulla, anzi è tutto il contrario. Prendi la morale e accoltellala alla schiena. “È per questo che Satana fa le puttane, Papà”. Per i coperchi passiamo la prossima volta, dato che la pietanza narrativa, pagina dopo pagina, trabocca dalle pentole fatte coi vocaboli di Palahniunk. Il sottofondo musicale è Carmen Miranda che canta Chica Chica Boom Chic, proprio come Cecil, dove basta indossare un copricapo fruttifero e siamo già al carnevale di Rio de Janeiro. Un ritmo brasiliano che trova un altro approdo nella sinuosa figura di Judy Garland. Tra le pieghe della trama appaiono le dive del cinema a stelle e strisce interpretate dalla voce narrante in questo duetto, scabroso e sadico, con il fratello. Sigarette immaginarie, droghe vere e dita per ditalini, non la pasta. Sfumature di un mondo ovattato e capitalista che ritorna e ritorna sempre, come una copia di una copia. O forse stavamo solo dormendo? 

“Era tanto tempo che volevo scrivere un libro sulla sofferenza causata dalle dipendenze, sia quella di chi è dipendente sia quella di chi gli sta vicino”. Solo le parole che chiudono il testo raccolte in una nota firmata dall’autore. L’acqua gelata al di là del vetro. L’immersione quando le luci lasciano la fama e la penombra è l’orizzonte della vita. Nelle dediche di libri autografati per parenti, partner, fratelli o figli che non ci possono essere, perché non ci sono più, e lì scatta la solitudine. A seguire la firma l’isolamento, “dopodiché vado in albergo e mi riduco all’incoscienza con l’alcol”. Leggere Chuck Palahniuk è un po’ morire, sciogliere il nodo che ci lega alla banchina della comfort zone e salpare per mari in tempesta. Se questi fanno marinai provetti, la sua scrittura anestetizza le ansie per gonfiarle fino a farle esplodere. Con gli occhi chiusi seguendo l’animale guida, che questa volta è un canguro partorito da un documentario sulla natura proiettato in apertura del romanzo – una produzione Richard Attenborough – che ci invita a scivolare nelle bassezze del genere umano. Un passo alla volta verso l’abisso. Proviamo a sistemare ogni cosa, ma ogni momento è un nuovo giorno senza storie precedenti come Memento. Terapia d’urto sul fondo delle scale dove impariamo, per l’ennesima volta, grazie Chuck, che le vere scoperte vengono dal caos.

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