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Persino troppo sport può fare del male: è da praticare con moderazione

TRIESTE Seguo anch’io in maniera quasi affannata queste Olimpiadi. Mi sono visto tennis e pallavolo, gioito per il nuoto, sofferto per la scherma. Ora a Perth (dove mi trovo per un meeting di cardiologia) ho sono persino visto in un pub prima Australia-USA di hockey su prato femminile e poi Australia-Olanda di pallanuoto, sempre femminile. Non mi si potrà quindi tacciare di antisportività se in questo articolo voglio ricordare che lo sport agonistico può fare male, e non poco, alla salute.

In generale, fare attività fisica è senza dubbio benefico: migliora l’utilizzo dell’ossigeno, aumenta la sensibilità all’insulina, abbassa trigliceridi e colesterolo, diminuisce la pressione sanguigna, riduce la probabilità di trombosi, oltre a migliorare funzione cardiaca, densità ossea e risposta immunitaria. Ma tra fare attività fisica in maniera moderata e fare sport in maniera agonistica c’è una differenza sostanziale.

Nel 1976, fu iniziato a Copenaghen uno studio che aveva come scopo quello di seguire, in maniera prospettica, la salute cardiovascolare di più di 20 mila uomini e donne di età tra i 20 e i 93 anni, seguiti nel corso della vita. Una decina di anni fa, i primi risultati di questo studio avevano mostrato come l’attività fisica regolare, come il jogging, aumenta l’aspettativa di vita di 6,2 anni per gli uomini e 5,6 anni per le donne. Ma chi aveva corso in maniera più intensa (più di 2,5 ore a settimana e a velocità elevata) aveva perso tutti i benefici e aveva un rischio cardiovascolare pari a quello delle persone sedentarie.

Questo studio è andato ad aggiungersi a molteplici altre ricerche che avevano addirittura concluso che l’eccesso di esercizio aerobico nei maratoneti e negli sciatori di fondo peggiora la salute e l’aspettativa di vita.

Uno specifico problema degli atleti negli sport di resistenza è lo sviluppo di fibrillazione atriale diversi anni dopo la fine dell’attività agonistica. Questa è una condizione patologica per cui le camere superiori del cuore, gli atri, iniziano a contrarsi in maniera autonoma e scoordinata rispetto alla trasmissione del segnale elettrico alle camere inferiori, i ventricoli. La fibrillazione atriale può causare spossatezza, svenimenti, dolore toracico e altri sintomi, ma soprattutto può portare alla formazione di coaguli di sangue che, se arrivano al cervello, causano un ictus cerebrale.

Uno studio della scorsa settimana condotto in Danimarca ha mostrato come circa il 40% delle persone con fibrillazione atriale con il tempo sviluppano insufficienza cardiaca e il 20% soffre di un ictus. Con l’aumentare dell’aspettativa di vita, la fibrillazione atriale sta avendo un aumento quasi epidemico. Le ultime statistiche indicano che ormai interessa più di 5 milioni di persone negli Stati Uniti, mentre ci si aspetta che la prevalenza a livello internazionale raddoppi tra il 2010 e il 2030. Tutti gli smartwatch di ultima generazione ormai comprendono dei sensori e app per diagnosticare questa patologia.

Negli atleti agonisti, il cuore fisiologicamente si ingrossa per supplire al fabbisogno aumentato di ossigeno (il cosiddetto “cuore d’atleta”). Ma mentre questa è una compensazione largamente fisiologica, il rimodellamento della struttura degli atri del cuore che ne consegue, se prolungato nel tempo, stenta a rientrare alla fine dell’attività agonistica, e aumenta la probabilità di fibrillazione atriale con il passare degli anni. Una ricerca su 128 atleti di punta nel canottaggio, analizzati quando avevano tra i 45 e gli 80 anni, ha mostrato come uno stupefacente 20% di questi soffrisse di fibrillazione atriale, comparato con il 3% della popolazione generale.

Ma allora quanto sport fa bene? Le principali associazioni mediche e anche l’Oms suggeriscono che l’attività fisica ideale è di tipo moderato e comprende circa 150 minuti complessivi alla settimana. Per gli atleti agonisti negli sport di resistenza (maratona, nuoto, canottaggio, sci di fondo) questo è talvolta il tempo impiegato in un singolo allegamento, e per di più in maniera intensa (un canottiere agonista si allena spesso fino a 20-30 ore a settimana). Il problema ha anche valenza sociale più estesa, soprattutto considerando che ormai partecipare alle maratone (e quindi allenarsi in maniera continuativa per queste) è diventato sport nazionale, anche per le persone non più giovanissime.

Buone Olimpiadi e buono sport a tutti, quindi. Ma sempre ricordando che questo va fatto con moderazione.—

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