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Trieste, un giardino mitteleuropeo città d’elezione nei ricordi di Martens

Trieste, un giardino mitteleuropeo città d’elezione 



nei ricordi di Martens

Il memoir del docente all’università Cergy di Parigi che visse l’infanzia in città. Il padre Gerhard fu direttore del Goethe Institut

Pierluigi Sabatti “Je suis Triestin” esordisce così Stephan Martens nel suo “Trieste, mon jardin mitteleuropèen”, edito dalla Presses Universitaires de Bordeaux (200 pagine, 25 euro). Un libro permeato dall’amore per la città di questo docente di famiglia tedesca approdata sulle rive dell’Adriatico nel 1962, quando il padre Gerhard divenne direttore del Goethe Institut, uno dei centri culturali istituiti dalla Repubblica Federale Tedesca nel ’51 per promuovere la lingua, la cultura tedesca e la collaborazione internazionale con gli altri Paesi.

Martens vive qui il periodo più formativo per una persona (dalla nascita ai dodici anni) e questo legame sentimentale se lo porta dentro nei tanti luoghi in cui si sposterà, tornando a Trieste più e più volte. Il padre viene trasferito in Francia e Martens continua gli studi in quella lingua e si naturalizza francese. Oggi insegna civiltà tedesca contemporanea e geopolitica europea alla università Cergy di Parigi. Ha molti riconoscimenti professionali, ma la vita gli riserva pesanti difficoltà: il primo matrimonio, in cui nasce un figlio autistico, è distrutto dalle discriminazioni che il bambino subisce e che toccano pure il secondo figlio. Il secondo matrimonio con una donna della Guadalupa di origine africana, da cui nascono tre figli, lo mette davanti ad altre forme di discriminazione.

Difficoltà che ha affrontato anche grazie al fatto di essere cresciuto in una città complicata, dilaniata dagli scontri tra le varie etnie, che ha cambiato sei bandiere in meno di cinquant’anni. Una città che “non si svela subito” avverte e che lui vuole raccontare “affrontando la sfida” di scrivere di un luogo che ha avuto l’attenzione di tanti scrittori, storici, politici, economisti, scienziati.

E su queste vicende riflette quando passeggia lungo le rive: “Sospesa tra più mondi, sognando nel chiaroscuro delle terre di confine. Ho cercato di raccontare la mia Trieste, di decifrare la sua sublime bellezza, la sua sfumatura grigia dovuta a un passato difficile, la sua anima mitteleuropea, il suo ritrovato dinamismo, il suo futuro indeciso... che per molti versi rimane un affascinante enigma”.

Per risolvere l’enigma ci sono due parole chiave: l’identità e la Mitteleuropa, concetto, spiega Martens, “assopito fino agli Anni 70” quando autori come Claudio Magris e Angelo Ara lo risvegliano. E dopo di loro altri fino a Fulvio Tomizza, che nota come gli scrittori triestini non facciano parte di una comunità ma “ciascuno curi il proprio giardino”. Però “Trieste è la sua letteratura” e Martens cita Scipio Slataper, intellettuale di spicco di questa città, che critica ferocemente il mercantilismo dei triestini e il meticciato culturale, cita Angelo Vivante che si uccide angosciato dalla guerra che sarà nefasta per la città, come il giovane filosofo goriziano Michelstaedter. Esiti finali di quelle anime in tormento che Trieste ha partorito, anche sul versante sloveno, ricordando Vladimir Bartol, Boris Pahor e Marko Sosič.

Trieste, sottolinea Martens, è un cuneo del Mediterraneo in quella Mitteleuropa che è “un concetto ambiguo, dai contorni fluidi a lungo identificato come spazio vitale dell’imperialismo germanico e zona di scontro violento tra imperi continentali tedesco (prima prussiano poi nazista), asburgico, russo e ottomano. O sotto forma più edulcorata l’insieme dei Paesi sotto il dominio degli Asburgo, oppure ancora sinonimo semplicemente di Europa centrale”. Un incrocio di razze, lingue, religioni, culture, commerci che ha generato drammi come il primo dopoguerra funestato dal fascismo e dalle persecuzioni di ebrei e sloveni. E il secondo funestato dalle foibe e dall’esodo degli istriani e dalmati.

Nel suo volume densissimo, e ricco di immagini, Martens si sofferma sulla letteratura dialettale e sugli scrittori di oggi come Mauro Covacich, Susanna Tamaro e Pietro Spirito. E proprio guardando al futuro di una Trieste, per certi versi ancora nostalgica, degli Asburgo e non solo, la vede come la città della riconciliazione e, dal punto di vista economico, dello sviluppo scientifico e tecnologico, del porto e del turismo, anche se nota il decremento demografico e la fuga all’estero di molti giovani. Però sottolinea: “mare, letteratura, scienza, commercio, tutto si tiene e si esclude ricordandoci che non si può mai avere “una” identità ma che bisogna coltivarne mille perché quelle che si spegneranno siano sostituite da altre. Questa è Trieste, il mio giardino mitteleuropeo”. La sua Heimat.

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